Voglio
difendere, ancora una volta, a spada tratta e rimarcare le sofferenze,
di cui ancora molti ARBRESH fanno finta di nulla perchè al soldo della
potenza papista, patite dei nostri Padri Arbresh, in suolo italiano,
causate dai Vescovi latini e alle mire anti greco-albanesi e anti Rito
Greco. Questo scritto postato da Vincenzino Vaccaro su
http://albanesiditalia.altervista.org/ dal titolo "La risposta di
Filalete" spiega a chi ancora desidera rimanere scettico sulle nostre
sofferenze e sui nostri martirii le violenze perpetrate contro il nostro
popolo per cancellarne la dignità religiosa e omologarlo al rito latino
e papista.
Questo
anche per far tacere pseudo nuovi ortodossi, i quali non essendo a
conoscenza delle nostre problematiche, delle nostre tradizioni
orientali, della nostra storia e della nostra cultura religiosa,
ostinatamente criticano il mio essere difensore delle nostre tradizioni
"ORTODOSSE" anche se ora definite "greco-cattoliche", ma che un tempo
avevano tutta la sacralità della Santa Ortodossia. L'annessione forzata
al cattolicesimo romano, il lavaggio del cervello perpetrato a
cominciare dal dopo concilio di trento, hanno reso l'arbresh dal punto
di vista religioso uno zombi che fino a quando era considerato l'unico
portatore di orientalità, come una marionetta da far muovere nei momenti
di bisogno da parte del Vaticano e farlo piroettare nei vari teatrini
italiani per il vanto di avere nel suo seno "gli ortodossi"e questi
doveva fare bella mostra, ma scomparire subito l'esibizione.
La Voce dell'Arberia
L'identità arbereshe non viene recuperata per puro esercizio intelletttuale di ricostruzione del passato, ma per elaborare un progetto per il futuro (Mario Bolognari)
La Risposta di Filalete
L’Ordinario
più rozzo, infelice, incolto e privo di carità cristiana che, con
indebita violenza si scagliò contro gli Arberesh e il loro Rito Greco,
fu senz’altro, sul finire del 1700, l’Arcivescovo di Rossano Andrea
Cardamone. L’Arcivescovo Rossanese male sopportava che il Bugliari fosse
stato nominato Vescovo Presidente e che avesse fatto trasferire il
Collegio Italo-Greco Albanese da San Benedetto Ullano a San Demetrio
Corone, villaggio albanofono quest’ultimo, dove imperava la sua
giurisdizione. Quindi con il trasferimento del Collegio nei locali del
soppresso monastero basiliano di San Adriano, il nuovo vescovo greco
assumeva il diritto di percepire le rendite derivanti dai terreni e da
altri immobili dell’ex feudo basiliano e, con la sua investitura, la
prerogativa di vigilare sull’avito Rito degli italo Albanesi. Tutto ciò
poco piacque all’avido arcivescovo di Rossano. Egli, infatti, come
d’altronde era in uso nella “borgiastica” chiesa latina, reagì con
estrema inaudita violenza al nobile mutamento voluto dal Vescovo Greco,
Francesco Bugliari, tentando di introdurre, senza riuscirvi, per la
forte opposizione della popolazione, il rito latino nelle comunità di
San Giorgio ( Mbuzati) e di San Demetrio Corone. Il parroco greco di
San Giorgio, D .Domenico Lopez, non gradendo questa violenta
“innovazione” della Curia Latina di Rossano, giustamente, ricorse alla
Regia Giursidizione denunciando e rivendicando gli abusi perpetrati dal
losco ordinario rossanese. Il Cardamone, dovendo difendersi, fu
costretto ad inviare una relazione al Delegato della Reale
Giurisdizione, che gliela aveva caldamente richiesta, nella quale cercò
di mettere, falsamente, in rilievo l’ignoranza, la malafede e la
corrosiva ignoranza del parroco greco e della popolazione. Il Vescovo
latino cercò in tutti i modi di latinizzare e di rendere ignobile la
popolazione Arberesh, infatti tentò anche di stimolare violenza
attraverso noti usurpatori di terre demaniali , agenti sotto la sua
protezione. Ignorante, invece, si mostrò il prelato latino quando
dovette indirettamente scontrarsi con il Vescovo Greco Bugliari e
Domenico Bellusci, autori della elaboratissima e lucidissima lettera a
difesa del parroco di San Giorgio, del Rito Greco e della Nazione
Albanese tutta. La lettera venne pubblicata a Napoli nel 1796 dal
Bugliari e dal Bellusci come Risposta di Filalete.
La
Risposta inizia con il sottolineare il rozzo integralismo e la totale
mancanza di educazione e carità cristiana del Cardamone e che non
veritiera è la pretesa superiorità dei Latini sui Greci e che è ingiusto
quanto vile il modo con cui il Monsignore chiama gli Albanesi Greci
superbi e mendaci. Nella seconda parte dello scritto viene messa in
evidenza la difesa non solo dell’avito Rito, ma anche quella della “
Nazione “ Arberesh, che con duri sacrifici ha trasformato in terreni
fertili sterili deserti, contribuendo al progresso dell’agricoltura e
della pastorizia in una terra dove regnavano solo miseria e pestilenza.
Nonostante tutto ciò la chiesa latina e i baroni non cessarono di
molestarLa. A questo punto è bene che si leggano le parti più salienti
ed importanti della Risposta di Filalete, offrendo la possibilità ad
ognuno di interpretarne liberamente i suoi contenuti.
“
Per rispondere compitamente, e come conviene all’Arcivescovo, giova da
principio rilevare da quella sua relazione il livore, e l’avversione,
che a torto nutrisce contro la Nazione, ed il Rito de’ Greci. Non
contento egli di inveire contra l’Arciprete di San Giorgio, con cui solo
ave le gare, e le contese, si prende spesso occasione di scagliarsi con
dente amaro sopra li Greci tutti, chiamandoli mendaci, riottosi,
superbi, arroganti. Tratti sono questi che non solamente s’oppongono al
buon senso, alla retta ragione, ed all’evidenza dei fatti; ma che ledono
in una maniera la più sfacciata li princìpi della carità, e politica
cristiana, che in un pastore d’anime specialmente dee risplendere. Non
so se vi sia alcuno, che riandando tra se stesso l’antiche sciagure d’
Greci, e riflettendo alla depressione, in cui si trovavano presentemente
ridotti, non ne resti vivamente penetrato dalla compassione in sentire
li tanti insulti, che ricevono di vantaggio per mano di quegli stessi,
che per dovere del loro carattere avrebbero da sollevargli. Se quindi
poi si muovono a qualche moderato, e legittimo risentimento, tutta
colpa, che potrebbe al più attribuirsi loro, sarebbe quella di non
essere veramente di stucco, o di quella perfezione eroica, per cui
abbiamo da meritare d’essere canonizzati per Santi. La colpa però vera
piuttosto s’ha da imputare tutta quanta a que’ tali Vescovi, che in
cambio d’adoperare dolci lenitivi, e balsami piacevoli, come esige il
loro dovere, quando li Greci siano effettivamente impiagati, piuttosto
gli feriscono tutto giorno coi motteggiamenti, coll’ingiustizia, e colle
brighe, che attaccano per disturbargli dal pacifico esercizio del loro
Rito. E questa è la maniera, con cui la carità cristiana ordina ai Sagri
Pastori di dovere trattare il loro gregge? Superbi, quindi arroganti, e
riottosi sono li figli, e li sudditi, o piuttosto li Padri e li capi,
a’ quali manca quella prudenza che comanda di dissimulare talvolta anche
li veri difetti? Fosse il nome Greco per avventura un difetto, che non
possa lasciarsi d’ insultare senza offendere il bene della Religione, e
della Patria? E pure se voglia farsi giustizia alla verità, bisogna
confessare, che non sia nome più glorioso di questo, né Nazione più
benemerita del Lazio che la Grecia.
In
questo altro brano della lettera, come giustamente ci fa osservare
il Papas Prof. Giuseppe Ferrari, viene ricordata al Cardamone e messa in
evidenza la netta differenza fra gli Arberesh e i Greci:
“Gli
albanesi che compongono le popolazioni di San Giorgio e le altre
Università di Rito Greco situate nella Calabria, non sono l’istesso, che
li Greci: hanno origine diversa e diverso linguaggio, si distinguno nel
genio, nell’indole, e nel costume. L’uniformità dell’istesso Rito, che
professano, non basta ad inferire una generale corrispondenza in tutti
gli altri caratteri, che sogliono diversificare tra loro le Nazioni. Non
per questo che non convengono nell’istesso rito latino tante nazioni
dell’Occidente, hanno da considerarsi alcune degne di quelle censure,
che solamente si meritano l’altre. Sarebbe perciò troppo ignorante, ed
impertinente chi pretendesse un giorno d’imputare agl’Italiani le
presenti folli stravaganze de’ Francesi, soltanto perché gli troverà
aver sempre servito a Dio coll’istesse cerimonie della Chiesa Latina.
Gli Albanesi dunque per rapporto al’istesso Rito, che esercitano,
possono in senso largo chiamarsi qualche volta Greci…senza però che
abbiano quindi da restare soggetti a quei rimproveri, che sogliono li
latini scagliare contro i Greci
In
questo stralcio, il Bugliari e il Bellusci, dopo aver difeso il Rito
Greco, con inverosimile dottrina prendono le difese dei loro fratelli di
sangue: Gli Arberesh:
“Li
Vescovi latini, o perché ignoranti del Rito Greco non poteano fare da
maestri sopra quelli che Lo professavano, o per la voglia di soggettarli
alla loro dipendenza, trovarono sempre mai qualche pretesto di zelo per
iscreditarli, ed infamarli ora presso i Sovrani, ed ora presso la Santa
Sede. Li preti latini che pian piano s’introdussero nelle Popolazioni
Albanesi, avidi di entrare in parte degli emolumenti della Chiesa, non
lasciavano di prestare mano alla favorevole disposizione che trovavano
dal canto degli Ordinari. Li Baroni anche delle rispettive Colonie per
l’avversione che aveano per i privilegi dei Coronei, e dell’esenzioni,
che godevano allora li Sacerdoti Albanesi assieme coi figli, e mogli,
non mancavano di concorrere alla persecuzione del Rito Greco.
Inoltre
l’Arcivescovo Cardamone tentò anche di introdurre la promiscuità del
rito ( rito greco e latino) nelle comunità Arberesh, ma tale tentativo
fu vano sia per la validità dei due grandi personaggi nel difendere le
avite tradizioni religiose, sia per la forza di carattere delle
popolazioni albanofone.
Sugli
abusi perpetrati dalla Chiesa Latina alle miserande, coraggiose ed
infine vincenti popolazioni Arberesh c’è, sicuramente, ancora molto da
documentarsi e da scrivere.
A cura di Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro
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