sabato 30 maggio 2009

Siceviamo dal nostro Amico e Collaboratore GABRIJE'

LA VITA DEL SANTO IEROMARTIRE FILOSOFO


Santo ieromartire Filosofo
memoria 31 Maggio ( sinassario greco)

Ardente predicatore e missionario, operatore di carita’ e benefattore fu uno dei primi sacerdoti che si meritarono la corona di martire dal Signore dopo la rivoluzione del ottobre del 1917.
Il futuro arciprete e filosofo Nikolaevich Ornatskij nacque il 21 maggio 1860 nella regione di Novgorod da una famiglia di un prete rurale. Si laureo’ all’Accademia Teologica di San Pietroburgo in modo brillante, nel 1885 fu ordinato diacono e – due giorni dopo – prete. I primi passi del ministero richiamarono su di lui l’attenzione del popolo e delle autorita’ civili ed ecclesiastiche per via della sua fede ardente e del suo talento. Qualche anno padre Filosofo insegnava e dirigeva la vita spirituale nei piu’ grandi orfanotrofi della capitale (San Pietroburgo era allora la capitale dell’Impero Russo).
Nel 1892 padre Filosofo fu ordinato priore della chiesa di Andrea di Creta ed eletto presidente "dell’Associazione dell’istruzione religioso-morale nello spirito della Chiesa Ortodossa". Questa Associazione divenne lo stimolo per la fondazione di associazioni simili in altre citta’.
Nel 1893 p. Filosofo fu eletto deputato al consiglio comunale in rappresentanza dei sacerdoti di San Pietroburgo. Aveva una gran compassione per i dolori del popolo, fondava orfanotrofi, ospedali per i poveri, dormitori pubblici. Padre Filosofo fu anche energico membro dell’Associazione della sobrieta’ e temperanza in nome di S. Alessandro Nevskij e presidente della Commissione dell’istruzione pubblica del quartiere Narvskij di San Pietroburgo.
Dodici chiese furono innalzate nella capitale e nelle vicinanze grazie alle fatiche di padre Filosofo. La piu’ grande fra di loro: la chiesa della Resurrezione presso la stazione ferroviaria (Varshavskij voksal).
Per molti anni l’infaticabile fedele di Cristo fu Capo redattore della rivista "Il notiziario spirituale di San Pietroburgo".
In che modo padre Filosofo riusciva ad unire un lavoro pubblico cosi’ grande con le fatiche di pastore e guida spirituale e’ un mistero conosciuto solo per Dio, anche perche’ la sua Parrocchia contava qualche migliaia di persone.
Per oltre vent’anni padre Filosofo fu il figlio spirituale del Santo Giusto Giovanni di Kronstadt. Secondo l’esperienza di San Giovanni di Kronstadt, padre Filosofo seguiva la strada spirituale attraverso un intenso lavoro interiore, un’ esecuzione rigida dei comandamenti del Signore Gesu’ Cristo e la preghiera ininterrotta. La pace interna e una gioia permanente di Cristo diventarono i suoi tratti caratteristici.
"Acquista lo spirito di pace e allora le migliaia di anime troveranno salvezza attorno a te." Questo proverbio di San Serafino di Sarov fu realizzato da padre Filosofo. Era sempre calmo e pacifico nelle relazioni con qualsiasi persona, si dominava nelle condizioni piu’ critiche, non si perdeva mai d’animo e sapeva comunicare la forza agli altri. Padre Filosofo guariva con la sua parola gli alcolizzati senza speranza. Eredito’ dal padre Giovanni il dono della preghiera per gli altri, la ferma speranza e la fede nell’onnipotente aiuto Divino.
Prendeva parte attiva nella preparazione e nello svolgimento delle celebrazioni nella città di Sarov per la causa di canonizzazione di San Serafino di Sarov. Le sue omelie dette durante le feste furono stampate con il titolo "Omelie dell’Arciprete Filosofo Ornatskij a Sarov".
Nel 1913 padre Filosofo fu ordinato priore della famosa Cattedrale di Kazan a San Pietroburgo (Kazanskij Sobor, dell’architetto Voronichin) dal Santo Metropolita di San Pietroburgo Vladimir, futuro martire. Le omelie di padre Filosofo attiravano sempre una vasta moltitudine di gente in Cattedrale.
Prese parte attivamente alla preparazione del Concilio di tutta la Russia nel 1917-1918. Fu legato con amore ed amicizia al Santo Patriarca Tichon ed al Santo Metropolita Veniamin (Kazanskij), martire.
Dopo la rivolta del 1917 denuncio’ decisamente i delitti ed i misfatti dei bolscevichi, organizzando processioni cui partecipavano migliaia di fedeli. La sua risolutezza e le sue omelie furono la causa dell’odio da parte del potere ateo. Nell’agosto del 1918 fu imprigionato con i suoi due figli Nikolaj e Boris. Nel settembre furono fucilati assieme a 30 ufficiali devoti allo Zar.
Prima della fucilazione consolava i suoi compagni ufficiali: "Andiamo dal Signore. Ecco la mia benedizione... Ascoltate le preghiere". Inginocchiato comincio’ a recitare con calma il de profundis. Fu fucilato durante la preghiera.
Padre Filosofo e’ stato canonizzato nell’agosto dell’anno 2000.
Tropario, tono 1.
O Crisostomo nuovo di San-Pietroburgo, E benefattore instancabile, Sacerdote del Dio vivente, E martire tu apparvi a Cristo. Santo padre Filosofo, prega Dio misericordioso di salvare le nostre anime.

giovedì 28 maggio 2009

Dall'editoriale di "Jeta Arbëreshe"

Ho letto l’editoriale della rivista italo-albanese “Jeta Arbëreshe” diretta magistralmente dell’amico Agostino Giordano di Ejanina, ed ho voluto postarla, perché rispecchia fedelmente la situazione in cui versa la lingua arbëreshe. Il resto dell’articolo non ci e non mi interessava minimamente e l’ho messo da parte.

Quest’anno, la Legge 482/99 – quella che tutela la
sopravvivenza delle Minoranze Etno-linguistiche d’Italia
con le loro parlate e tradizioni – compie dieci anni. Bene,
questa Legge va cambiata. La lingua Arbreshe (= le
parlate arbreshe) – per vivere concretamente – a scuola
va insegnata la mattina, nell’orario curriculare, come
l’italiano e la matematica, non dopo pranzo; e va insegnata
in tutte le scuole arbreshe e a tutti gli alunni arbëreshë
con, o senza, l’assenso dei genitori. E gli insegnanti –
arbreshë e con titolo – devono essere possibilmente del
paese: perché va insegnata/salvaguardata la parlata del
paese. Ma le Scuole dei paesi arbreshë devono essere
accorpate l’una all’altra, il dirigente deve essere arbresh e
i professori devono parlare l’arbresh, perchè come dice la
Legge, non si deve dare solo “insegnamento di lingua
arbreshe”, ma la lingua arbreshe deve essere “strumento
di insegnamento” delle altre materie. E poi Università e
Rai-Tv devono cambiare testa: la prima deve capire che
questa Legge tutela la lingua Arbreshe, non la lingua
albanese d’Albania; la seconda deve aprire le porte, volente
o nolente, a programmi in lingua arbreshe. E i soldi di
questa Legge devono andare a quelli che lavorano davvero
per il bene degli Arbreshë e della Lingua Arbreshe. Gli
Arbreshë pretendono i diritti che ha, per es., la minoranza
linguistica tedesca di Bolzano, né di più né di meno.
Vogliamo dire, con ciò che la Legge 482/99, purtroppo,
dove è applicata e dove no. Ma l’Italia è un’unica
Repubblica? E le Leggi della Repubblica non vengono
applicate su tutto il territorio nazionale? Allora perchè per
le Minoranze del nord la Legge 482/99 si applica (e i soldi
arrivano col carro) e per le Minoranze del sud non si
applica (e i soldi arrivano con la bisaccia)? Le Minoranze
non sono tutte uguali? E perchè la Minoranza Arbreshe –
la più numerosa – è trattata così male? Chi l’ha deciso?

mercoledì 27 maggio 2009

Krishtin na kemi me ne

CHIESA CRISTIANA ORTODOSSA

QISHA ORTODOSE PIR ARBRESHT

A tutti gli italo-greco-albanesi che volessero ritornare alla Fede dei loro Padri noi diciamo: Per un certo periodo la Fede ortodossa dei nostri Padri,nei nostri paesi, venne tollerata, ma poi dopo il Concilio di Trento, con la Controriforma, da fratelli divenimmo i più acerrimi nemici dei Vescovi in cui le nostre comunità ricadevano. Vari sono stati i Sinodi locali in cui la nostra presenza era mal tollerata e tutte le decisioni riguardanti i greco-albanesi erano mirati contro l’ortodossia, il Rito e contro i preti sposati. Non dobbiamo dimenticare a questo proposito che l’ultimo prete sposato di Spezzano Albanese, l’ultimo santo difensore dell’ortodossia, Padre Nicola Basta, con alle spalle sei figli, è stato rinchiuso nelle segrete del castello di Terranova da Sibari e lasciato morire per ordine del vescovo latino e dei principi Spinelli.Quindi con il passare del tempo i nostri paesi ed il rito si sono latinizzati ed un colpo, veramente incredibile alle nostre tradizioni e alle nostre radici religiose, lo hanno dato i predicatori passionisti sommergendoci di Santini e figurine latino-cattoliche facendoci dimenticare il nostro calendario ed i nostri Santi.Ora, con l’aiuto del Signore, è giunto il momento, per gli arbëreshë, di riappropriasi delle vere loro Tradizioni, delle loro Radici, della vera Cultura, della loro originale e ineguagliabile Fede.Quando i nostri Avi giunsero nel Regno delle Due Sicilie portarono con loro poche cose, ma le principali e le più importanti furono e lo sono tuttora: la Libertà e la Fede Ortodossa.Ci rivolgiamo principalmente ai giovani: ritornare alla Fede dei Padri, riappropriarsi di qualcosa che è rimasto nel DNA, abbandonare chi ha perseguitato e distrutto le nostre radici culturali-religiose è un dovere, è una necessità, è un obbligo.L’Ortodossia, ovvero la Vera ed Unica fede della Chiesa Una, Santa, Cattolica ed Apostolica, deve ritornare ad essere la nostra unica Confessione religiosa, tutto il resto è relativo, falso e bugiardo.Se qualcuno vi dirà il contrario di ciò che è scritto in questo proclama è falso e bugiardo, è un sepolcro imbiancato (bello fuori e sporco dentro) a voi tocca invitarli di andare a ristudiare la ‘VERA’ e unica storia (quella sempre occultata) del popolo italo-greco-albanese; a questi imbroglioni i Santi Padri dei primi sette Concili avrebbero gridato: “ ANATEMA”.Abbandonare la zia ingrata (Roma e litinjët) per tornare dalla vera Mamma (l’Ortodossia) non comporta nulla: basta volerlo, basta desiderarlo, basta ambirlo, basta anelarlo e la Venerata Mamma, la Santa Chiesa Ortodossa è pronta ad accogliervi nel suo seno, nella sua casa nel suo cuore e come si fece per il Figlio Prodigo, anche per voi si ammazzerà il vitello grasso, si farà festa non solo in terra, ma anche in cielo, e sul vostro dito verrà messo un anello di diamanti e brillanti.Ortodossia = Unica e vera fede. Punto e basta.>Padre Giovanni CapparelliPatriarcato di MoscaDecanato d’ItaliaTel. e Fax: 0981 35356Cell.: 3280140556http://arberiaortodossa.blogspot.com/

venerdì 8 maggio 2009

Rrënjëtë arbëreshëvet janë ortodokse

Già nel recente passato, o Fratelli italo-albanesi, vi ho informato ed erudito sulla nostra condizione riguardo la vera ed unica Fede. Quella Fede che i nostri Avi venendo dalle regioni della Grecia e dell’Albania nel Regno delle Due Sicilie, hanno portato e mantenuto con grandi stenti e patimenti a causa delle mire distruttrici ed espansionistiche sia dei vescovi latini, sia dei signorotti locali alleati dei vescovi, sia della curia romana.
Quella non era altro che l’Unica, Santa ed Apostolica Fede di N.S.G.C., e lo è ancora, per cui valeva la pena combattere tenacemente (esempio lampante il Santo Martire di Spezzano Albanese Arciprete Padre Nicola Basta) in quanto riusciva ad unire un popolo, stremato da decenni di guerre contro i turchi, in terre straniere e non sempre ospitali.
Non dobbiamo dimenticare tanti nostri sventurati paesi che non sono riusciti, nonostante abbiano combattuto fortemente contro un avversario subdolo, ad arrivare a mantenere ciò di cui andavano orgogliosi (S. Caterina Alb., Spezzano Alb., Cerzeto ecc.).
Purtroppo loro hanno dovuto soccombere ed in alcuni casi oltre a perdere la Fede, hanno subito anche la sfortuna e la beffa di dover dimenticare la lingua.
FEDE - LINGUA: un binomio inscindibile ed indissolubile per non perdere in modo definitivo ciò che resta della nostra Cultura, delle nostre Tradizioni, delle nostre Memorie, del nostro Patrimonio Linguistico e della nostra ricchezza Spirituale.
LINGUA: ovvero quel poco che ancora riesce ad essere parlata nei nostri poveri paesi da chi, tuttora, con tenacia la insegna ai propri figli.
E certamente la nostra lingua parlata non è quella che si può evidenziare nei cartelli stradali presa in prestito dallo Shqip: questa è una lingua importata che serve soltanto a qualcuno per prendere in giro un intero popolo e che grazie alla legge 482/99 guadagnarsi qualche euro.
FEDE: ovvero quella per cui ancora, in molti, nei nostri paesi continuano a sperare di ritornare a “combattere”, per dimostrare prima a se stessi e poi a chi sappiamo noi che vale veramente la pena di lottare per riportare nella sua originaria dimensione ciò che nel corso dei secoli è diventato.
La nuova fede, che ci hanno inculcato con la forza e con l’inganno, di cui ci riempiamo la bocca in alcuni momenti (mai raccontata in termini corretti dal punto di vista storico) e quando siamo costretti a Folklorizzare il nostro Essere italo-albanesi anche dal punto di vista religioso con Messe a destra e a manca, non è quella per cui abbiamo sofferto e per cui molti nostri avi sono stati martirizzati.
Ciò di cui noi dobbiamo andare fieri è celato nel nostro intimo, nel nostro spirito battagliero, nel nostro essere dalla testa ai piedi ARBËRESHË, sicuramente nascosto, al quale manca solo l’imput giusto perché esploda.
Forse è arrivato o sta per arrivare il momento, solo Dio lo sa, che l’orgoglio di essere stati e di essere diversi dagli altri, orgoglio che ci ha caratterizzati in questi cinque secoli e che testardamente ci ha fatto sentire “gjaku jonë i shëprishur” ci farà urlare a squarcia gola, anche se a qualche latino travestito da arbëresh non piacerà, con nome e cognome quella profetica parola che molti, anzi pochissimi, non vogliono sentire, tantomeno nominare e di cui hanno una terrore bestiale: ORTODOSSIA.
È una parola che fa paura, è un incubo da esorcizzare, è una parola spaventosa, è una parola impronunciabile e diabolica: guai se il popolo italo-albanese, tenuto nell’ignoranza da chi ha sempre saputo, si appropriasse di qualcosa di cui si è persa la memoria, guai se la nostra gente si impossessasse di ciò di cui è stata espropriata e spogliata. Fratelli Italo-albanesi: molte verità dalle fondamenta di sabbia, che finalmente molti autori scavando in profondità, con una dose di raro coraggio, stanno svelando (Vittorio Elmo, Matteo Mandalà, Nando Elmo, Costantino Marco e qualche insigne Professore universitario), cadrebbero portandosi appresso tanti privilegi di cui il povero popolo italo-albanse non ha mai saputo e tanto meno goduto.
ORTODOSSIA: un tabù da sfatare, una gioia interiore da rivivere, un figlio da ritrovare, un amore da coltivare, una moglie da amare.
In altre parole l’ORTODOSSIA: l’unica, la vera, l’originale, la sicura, la certa, la reale, l’inconfutabile, l’indistruttibile, l’innegabile, l’indiscutibile FEDE di Gesù Cristo, degli Apostoli e dei Santi Padri e per noi il non reciso cordone ombelicale che ancora potrà legarci al nostro passato, alla nostra cultura, alla nostra lingua, alle nostre radici, ai nostri Martiri, ai nostri Santi Padri, al nostro essere Figli dell’Oriente.
Noi meraviglioso POPOLO ARBËRESHË, per grazia di Dio, non abbiamo abiurato a questa Fede, non abbiamo venduto la nostra primo genitura per un pugno di lenticchie, siamo stati annessi questo si, ma non ci siamo mai genuflessi e inchinati a nessuno. Neanche chi continua a sorreggere l’insostenibile, potrà sostenere il contrario quando diciamo che la Verità ci è stata nascosta, occultata, negata per i motivi che tutti conosciamo. ALLORA ?
Già si intravedono all’orizzonte le prime crepe di questo castello costruito sulla sabbia, le prime scosse di questo terremoto che si chiama Ortodossia stanno dando i loro frutti: la gente vuole sapere e molti dovranno dare delle spiegazioni che non sono quelle fino ad ora rifilate ad un popolo martoriato e martirizzato. Tutto questo sta compiendosi “Quando venne la pienezza dei tempi ……” e la nostra umile Chiesa, che è principalmente la vostra, è convinta, più che mai, che il torto da noi subito sta per essere lavato e purificato.
La Santa Chiesa Cristiana Ortodossa, di cui mi onore di appartenere e di essere Presbitero, sarà lieta di offrirvi tutto ciò che fino ad ora vi è stato negato. Cari Fratelli arbëreshë, da noi sarete a casa vostra e nessuno potrà mai buttarvi fuori, perché qui voi siete quel figlio che si era perduto e che è stato ritrovato.
D’ora in avanti, solo nella Chiesa Ortodossa potete dire con orgoglio: . Il binomio “ARBËRESHË – ORTODOSSIA” è inscindibile e l’Ortodossia ha un solo significato: RETTA FEDE. Quindi l’Arbëreshë e l’Ortodossia sono indissolubili ed indivisibili e portatori dell’unica Verità.


Padre Giovanni Capparelli
Presbitero Ortodosso
Patriarcato di Mosca
328 0140556

domenica 3 maggio 2009

Ulteriori contributi sulla mutazione del rito greco in Spezzano Albanese

Ulteriori contributi sulla mutazione del rito greco in Spezzano Albanese
(di Francesco Marchianò)

“… la Verità vi renderà liberi” (Gv. 8, 32)

Gli storici, che in varie epoche hanno tentato di scrivere un lavoro organico su Spezzano Albanese, fra le tante pagine caratterizzate da rivolte, scontri e tumulti di vario genere, concordano nel riportare come la più nera rimane quella riguardante la mutazione del rito greco in latino, avvenuta con metodi certamente violenti, considerando lo spirito della Controriforma.
La Chiesa in quel periodo era accerchiata sia da nemici interni (protestanti ma anche eretici) che esterni (Islam e Turchia) ai quali rispondeva talvolta con un cieca violenza che culminava in denunce ai tribunali dell’Inquisizione che comminavano anni di carcere (T. Campanella) oppure ai roghi (v. G. Bruno) terrorizzando le masse cattoliche che vivevano, allora, nella più buia ignoranza
[1].
Occorre, a questo punto, citare le stragi compiute dall’Inquisizione nei confronti delle inermi comunità di Valdesi presenti nella Catena Costiera cosentina circa un secolo prima e che vide scatenarsi spietatamente la sbirraglia spagnola anche contro donne, vecchi e bambini in una strage inenarrabile
[2].
In questa situazione di palpabile violenza, sostenuta anche dai signorotti locali che ambivano vivere nelle grazie della Chiesa, nel piccolo “Casale di Spezzano” maturò l’idea di abbandonare il rito greco, portato circa due secoli prima dai loro avi, per quello latino.
I fatti, iniziati nel 1662, sono terminati nel marzo 1668 con buona pace per i promotori che, nel suo ultimo lavoro, lo studioso Vittorio Elmo non ha esitato a definire una “triade, composta dagli Spinelli, piccola borghesia nata all’ombra e per volontà dell’assolutismo, quindi dal ruolo deformato e dal clero latino, legittimò la propria alleanza allo scopo di perseguire un interesse comune, che significò soprattutto la privazione per la gente di Spezzano e della propria identità”
[3].
Nella sua importante opera sul rito greco nelle comunità albanesi, Mons. Pietro Pompilio Rodotà scrisse che la Sacra Congregazione della Propaganda della Fede (SCPF) ignorando le richieste legittime, ed in accordo con i signorotti locali, costrinse i fedeli di rito greco di Spezzano di Tarsia a mutare di rito “ed in diverse maniere li travagliò co’ supplizi, e con catene”.
[4]
Questi fatti avvennero circa un secolo prima ma l’eco degli eventi, certamente terribili, non si era ancora spenta tanto da indurre questo alto prelato a scrivere tre voluminosi tomi in cui difende e mette in risalto la regolarità delle posizioni dottrinali e canoniche del clero di rito bizantino nelle comunità arbëreshe.
Sulla triste vicenda nulla dice il sacerdote Francesco Godino in un suo interessante libro sugli Albanesi ed il loro rito in cui affronta solo questioni canoniche e dottrinali
[5].
Comunque sarà il giovane laureando Italo Costante Fortino a dipanare per primo il velo sul cambio del rito nella comunità spezzanese conducendo ricerche in Vaticano ed a pubblicarle in modo organico e con criteri scientifici che ne rendono tuttora degna e valida la consultazione
[6].
Ma a queste fonti bisogna aggiungere ulteriori dati emersi da un dattiloscritto anonimo che lo scrivente ricevette, nel 1977, dal prof. papàs Francesco Solano e che nulla seppe, o non volle, dire sul suo autore e sulla sua provenienza.
[7]
Da un’attenta lettura sembrerebbe che il citato Vittorio Elmo abbia attinto da questo documento, che però non cita, collimando perfettamente date e situazioni riportate nel suo studio, ed inoltre vi aggiunge qualche altro contributo.
Il presente lavoro si prefigge lo scopo di rendere noti questi dati che verranno arricchiti da altri inediti reperiti e trascritti dallo storico spezzanese G. A. Nociti (1832-’99)
[8] e da p. Francesco Russo, che ha consultato gli Archivi del Vaticano[9].
Ma cos’era accaduto di tanto terribile nel casale arbëresh di “Spezzanello di Tarsia” (ora Spezzano Albanese) da coinvolgere gli organismi del Vaticano e del potere feudale?
Tentiamo di eseguire una ricostruzione dei fatti, anche se frammentaria, tramite i citati documenti dell’anonimo dattilografo (AD), di Giuseppe Angelo Nociti (GAN) e p. Francesco Russo (FR).


Il Casale di Spezzano ed il suo clero nel XVII sec.
“Spezzano/Spezzanello di Tarsia” nella prima metà del XVII sec. è un casale abitato da oltre un secolo da alcune centinaia di Albanesi che lavorano come contadini nel feudo di caccia di Sagitta o Spezzano appartenente ai principi Sanseverino di Bisignano
[10].
Nel 1619 il feudo viene venduto ai principi Spinelli di Cariati che stanno emergendo come nuova potente famiglia in Calabria, tristemente nota per la crudeltà e per l’uso spregiudicato della violenza nel dirimere le questioni
[11].
Il casale di Spezzano si presenta come un’entità urbana formata da tanti piccoli agglomerati di case o tuguri sparsi nel territorio che hanno come punto di riferimento amministrativo e religioso rispettivamente il ”Magazzino della Corte”
[12], dove si effettua il pagamento di tasse e gabelle o si versano generi in natura; il carcere, con annessa l’abitazione del capitano; la chiesetta di “S.ta Maria de Spizzano”[13], la parrocchia dei SS. Pietro e Paolo (1607), S. Maria di Costantinopoli (1649) e quella privata di S. Giovanni Battista (1649) di juspatronato della famiglia Barbato.
Ma qual è la situazione del clero spezzanese in quel periodo?
Il primo parroco di cui finora abbiamo dati certi, ma frammentari, è il papàs d. Martino Barbato, sacerdote “oriundo”; suo figlio d. Teodoro (1597-1653), studente nel Collegio Greco di Roma, rientra nel paese per motivi di salute e poi diventa sacerdote latino
[14].
Dentro la chiesa parrocchiale, e in quella di Costantinopoli, sono ubicate alcune cappelle che garantiscono a qualche procuratore e sacerdote una cospicua fonte di reddito in base ai diritti di cappellania
[15].
I sacerdoti spezzanesi professano il rito bizantino, spesso sono regolarmente coniugati e con prole e dipendono dal vescovo di Rossano. Essi si mantengono con lasciti testamentari dei fedeli, con i fitti delle proprietà delle chiese oppure prendendo in affitto terreni da pascolo o mulini
[16].
Gli arcipreti greci di questa metà del secolo sono: il citato d. Martino Barbato, d. Pietro A. Lanza, d. Carlo Basta, d. Marzio Ribecco e d. Nicola Basta, l’ultimo papàs. Dal Nociti e dalla lettura di documenti di archivio si apprende che nel casale officiavano cerimonie in rito latino sacerdoti e religiosi provenienti da altre diocesi, da Terranova, Tarsia e soprattutto dalla vicina S. Lorenzo come d. Michele Severino, d. Giuseppe Staffa e p. Antonio Barberio (1631-’81) dei Frati Riformati di San Francesco
[17].
I sacerdoti greci presenti nel casale, invece, erano d. Nicolò, d. Skanderbeg Nemoianni (1600-’80) e d. Antonio Capparello (1624-’77), che “a pena sa scrivere”, mentre sacerdoti albanesi di rito latino sono d. G. B. Barbato (1607-’70) e d. Vincenzo Magnocavallo (1633-‘88) che coltiva l’ambizioso disegno di accedere alla carica di arciprete, progetto che spera di realizzare contando su parenti in seno al consiglio comunale, vantando protezioni e forti aderenze presso la Curia Vescovile di Rossano nel cui seminario forse ha condotto gli studi
[18].
I papàs redigono in lingua italiana gli atti nei libri parrocchiali iniziati nel 1598 (battesimi), 1648 (morti) e 1649 (matrimoni), ostentando la propria cultura o ignoranza nella grafia, nella padronanza della lingua e, soprattutto, nelle formule rituali imposte dal Concilio di Trento (1545-’63).
Dal 1610 al 1624 nel casale ha svolto la propria missione un giovane sacerdote molto colto proveniente dal Collegio Greco di Roma di nome Costantino Calocrati/Callocrata di Verrìa (Salonicco), aiutato dal connazionale Giorgio Verivos, che apre una “scuola di alta cultura” col compito di preparare missionari da inviare nella Chimara (Albania) o all’isola di Chio sottoposte ai Turchi. Il Calocrati, si ignora quando, transiterà alla fede cattolica romana
[19]. Dalle date riferite dai testimoni negli interrogatori, possiamo sostenere che Calocrati introdusse nell’incolta popolazione del piccolo casale il germe del rito latino.
Dal punto di vista amministrativo il paese dipende da Tarsia mentre la sua cittadinanza (o “Università”) è retta da un “consiglio” composto dal “sindico” coadiuvato da un gruppo di “eletti” (consiglieri). Altre figure sono il “mastro giorato” (segretario) e l’“erario” (esattore) mentre preposto all’ordine pubblico è un “capitano” coadiuvato da una specie di milizia formata, all’occorrenza, da cittadini armati.



Brevi cenni biografici su d. Nicolò Basta
Il cognome Basta è presente nelle comunità italo-albanesi della Puglia, del Crotonese ed in quelle del Cosentino, solamente in Spezzano Albanese e Civita. Già nel I vol. dei battesimi sono presenti alcuni Basta che qualche storico locale vuole, erroneamente, discendenti del famoso condottiero Giorgio Basta
[20].
Dal papàs d. Carlo Basta e D. Martina Mana(n)si di Lungro nasce, intorno al 1610-1615, Nicolò il cui atto non è registrato nel Casale di Spezzano avendo visto la luce, probabilmente, nel paese della madre. Suoi fratelli minori sono Lucrezia (1617-?), il medico e clericus Cosmo (1621-‘53), Caterina (1623-1703) e forse Giorgio (?).
D. Nicolò viene ordinato sacerdote nel 1644 e alla morte del genitore non diventa arciprete, come sperava, ma viceparroco del papàs d. Marzio Ribecco (1592-1662).
[21]
Dal suo matrimonio con Domenica Brunetto nascono Maria (1635-?), Isabella (1637-?) e Anna (1639-?). Attorno al 1640 muore sua moglie Domenica e d. Nicolò si unisce, more uxorio, con Giovanna Lanza, che gli dà una numerosa prole: Giulia (1643-’50), Beatrice (1645-’89), Carlo Antonio (1649), Domenica (1650-?), Francesco Antonio (1652-1710), Giulia (1653-’56), Antonio Lorenzo (1656-1711), Maria (1658-1717) e Vittoria (1662-1746)[22].
Il Nociti definisce il Basta meno ignorante dei suoi predecessori però distaccato dalla gente comune assumendo l’aria “di chi si crede nobile”. Proprio dal 1662, anno in cui divenne arciprete, fino a tutto il 1663 il casale sarà colpito da un’epidemia che ucciderà tanti fanciulli
[23]. Facendo leva sull’ignoranza e la credulità, ben presto le calunnie messe in giro, forse di proposito, attribuiscono questa disgrazia all’arciprete con il preciso e lucido intento di eliminarlo. È un pretesto perché in realtà qualcuno mira alla carica arcipreturale per appropriarsi delle cospicue rendite della chiesa parrocchiale[24].
L’ arciprete d. Nicolò svolgerà la sua missione dal marzo 1662 fino al gennaio 1664 quando sarà rapito ed incarcerato a Rossano dove, forse, morirà il 31 agosto 1666. Durante la vacanza sarà sostituito da d. Antonio Capparello (1624-’67) e questi poi da d. Skanderbeg Nemojanni (1602-’80).

Vicenda
Il sindaco, i consiglieri e cittadini del Casale di Spezzano chiedono da tempo di passare con le proprie famiglie al rito latino “e vivere in esso per maggior servizio di Dio”. Gli stessi ricordano che già altri casali delle diocesi di S. Marco, Bisignano e Umbriatico sono passati al rito latino. Fanno presente che nel proprio casale i sacerdoti di rito greco sono insufficienti, non idonei e molto ignoranti e per questo intendono passare al rito latino. Seguono 90 segni di croce dei richiedenti Matteo Luci (sindico), Marco Misuca (eletto), Aloise Molfa (eletto), Giovanni Cucci (eletto), e delle famiglie Luci (7), Serachi (3), Nemoianni (2), Ribecco (11), Barci (2), Melichi (3), Santi (9), Molfa (2), Brunetti (1), Franzini (2), Cucci (10), Magniacavalli (11), Camodeca (6), Barbati (3), Staffi (3), Dorsi (3), Capparelli (3) e poi Luca Moscira, Martino Drago, Carlo Toma, Basile Marchianò, Teodoro Toma, Mercurio Vaccaro
[25]. [ GAN, s. d. ma 1662, Autorità e cittadini a SCPF ]
40 cittadini albanesi di Spezzano, nel Regno di Napoli, chiedono alla S. Congregazione di Propaganda Fide di passare dal rito greco, nel quale sono finora convissuti, a quello latino e chiedono di avere anche un parroco dello stesso rito. [ AD, 1662, Atti f. 200 v. n° 16]
Il prelato Mario Alberti fa presente ad un suo superiore che da tempo gli abitanti di Spezzano vogliono passare al rito latino ed avere un parroco. Parimenti si fa presente che i sacerdoti greci, consapevoli del loro grado di ignoranza chiedono di avere la stessa istruzione accordata a quelli latini. Alberti sostiene che degli Italogreci e dei Greci di rito cattolico dovrebbe occuparsi il Collegio Greco di Roma perché, istruendoli, potrebbero tornare utili a combattere i Greci scismatici. [ AD, 16/1/1663, f. 48-49, Mario Alberti a SCPF]
Si chiede di accertarsi che tutta la popolazione spezzanese intenda passare al rito latino e non solo singole persone. Si chiede di sentire il parere di ogni cittadino e non solo del Consiglio e dare risposta alle autorità religiose di Roma. [ GAN, Roma 26/3/1663, M. A. Contestabile a Rossano]
Il capitano Pietro G. Severino partecipa in Spezzano ad un’assemblea in cui 70 cittadini, sindaco Angelo Cucci compreso, chiedono nuovamente di professare il rito latino poiché nel paese ci sono dei sacerdoti di tale fede istruiti e stimati. Fanno presente che è stata sempre loro volontà aderire al nuovo rito e quindi richiedono subito un parroco. Il cancelliere Giuseppe Vinanga raccoglie i segni di croce dei 70 richiedenti. [ AD, 27/4/1664, ff. 55-56, Capitano Pietro G. Severino]
Gli Albanesi del Casale di Spezzano che pubblicamente intendono mutare rito “acciò che possano esser meglio istrutti” richiedono sacerdoti latini “che ivi stanno” e si offrono di mantenere economicamente il parroco latino. Questa istanza viene inoltrata alla SCPF che non ha dato finora una risposta dovendo stabilire se il Collegio Greco dovesse aver cura più dei Greci naturali o degli Italogreci del Regno. Appare chiaro che la SCPF non intende interessarsi questi ultimi in quanto sottoposti ai vescovi latini che “ne avessero particolar cura, procurando di coltivarli nelle Lettere, e nella disciplina antica, …”. [ AD, 30/6/1664, f. 94 v., Comunicazione interna SCPF]
L’arciprete d. Nicola Basta fa presente che da quando è deceduto Mons. Caraffa “li Capi del Governo” di Spezzanello hanno iniziato le loro beghe per far passare la comunità spezzanese dal rito greco quello latino, come hanno già esposto nei documenti inviati precedentemente alla SCPF e che molti abitanti del casale hanno sottoscritto. Il Basta, inoltre, rimarca che con la violenza e con la frode si vogliono costringere i fedeli di rito greco a passare a quello latino. Il parroco supplica le autorità affinché gli concedano di poter amministrare i sacramenti nei due riti ai rispettivi fedeli e che quelli che vogliono passare al rito latino non lo facciano per costrizione ma “per la semplicità” onde evitare la dannazione. [AD, 1/10/1664, Congreg. Gen. 351 f. 50, senza firma ma di d. Nicola Basta alla SCPF]
Don Nicola Basta scrive di nuovo alla SCPF lamentandosi di non aver avuto risposta alle sue suppliche essendo carcerato. Afferma che il giorno in cui è deceduto Mons. Caraffa, non avendo rinunciato alla carica di parroco, è stato prelevato di notte, costretto a rinunciare all’arcipretura e condotto al carcere di Rossano da alcune persone da lui individuati in Pietro Giovanni Severino (capitano), Lazzaro Ribecco (Mastro giorato), Angelo Cuccio (Sindaco), Lucantonio Staffa (Erario), Giorgio Cuccio, Domenico Mangiacavallo ed altri. Il Basta afferma, inoltre, che questi individui lo hanno rapito per non dargli la possibilità di far permanere nel rito greco i propri fedeli mentre il rito latino era richiesto solamente dai maggiorenti del comune. Il buon arciprete espone la preoccupazione che una simile situazione fa “che si perdano tante anime” e perciò sollecita le autorità religiose a far prevalere la giustizia. Il Basta, essendo in carcere, espone anche la precaria situazione di famiglia perché “è con moglie giovane et in atto tiene cinque figlie femine da Marito et figli maschi” e che non ha mezzi sufficienti per provvedere al loro sostentamento e maritare le figlie. Il povero arciprete supplica la SCPF di nominare un nuovo parroco e che lui possa avere una rendita con cui vivere essendo quella annua dell’arcipretura di “grano cento et di denari ducati quaranta”. Ricorda ancora ai prelati che quanto certificato dalle autorità non corrisponde al vero e li invita alla prudenza. [AD, 1/10/1664, f. 51, Don Nicola Basta ai cardinali della SCPF]
Con una missiva gli spezzanesi di rito greco che sono passati al rito latino chiedono alla SCPF e al Vescovo di Rossano di inviare loro un parroco dello stesso rito. [AD, 1/10/1664, F. 54. Da autorità comunali a SCPF]
In questo promemoria risulta che parte degli abitanti di Spezzano intendono rimanere al rito greco e con l’arciprete d. Nicola Basta, e perciò chiedono un “coadiutore dipendente” da costui per i fedeli latini affinché nessuno di questi venga molestato. Inoltre si riferisce della supplica del Basta che è stato rapito e costretto a rinunciare all’arcipretura. Questi, inoltre, invita le autorità a diffidare delle assemblee organizzate dal sindaco e consiglieri eletti in quanto ottenute con il ricorso della forza. Il Basta, inoltre, essendo in carcere, chiede una “ qualche pensione annua da potersi sostentare con la sua moglie e cinque figlie nubili et altri maschi sopra i frutti dell’Arcipretato, li quali dice, che sono cento tumula di grano l’anno, e 40 ducati in denaro”. [AD, 1664, Atti f. 148 v. N. 32, Rescritto Arc. di Rossano]
Da Corigliano, Mons. Carlo Spinola, essendo stato nominato da poco alla carica episcopale a Rossano, afferma di aver trovato una situazione torbida nel Casale di Spezzano “per causa di D. Nicolò Basta Arciprete”! Il vescovo, inoltre, afferma che “Hora essendo seguita ultimamente la morte del detto Basta” ha constatato che molti spezzanesi intendono passare al rito latino e quindi inoltra a Roma le nuove istanze rimanendo nell’attesa di ricevere disposizioni in merito. [AD, 24/9/1666, f. 72, Arc. di Rossano a SCPF]
Subito dopo la morte del Basta (31/8/1666), il 5 settembre le autorità comunali inviano ulteriore richiesta di mutazione del rito alla SCPF dopo aver svolto un’ennesima assemblea da cui è emerso che “tutti unanimiter” gli Spezzanesi vogliono abbandonare il rito greco. Risulta inoltre che l’istanza, per procura, è stata inviata a Roma tramite il sacerdote terranovese Liccio de Leo. Nel retro, in una nota, emerge nuovamente che la comunità spezzanese ha richiesto alla SCPF di transitare al rito latino come era stato già fatto per i casali albanesi delle Diocesi di S. Marco ed Umbriatico e ricordano che la SCPF ha esposto la situazione agli esperti (“qualificatori”) che si sono espressi “potersi far la gratia non per tutta l’Università, ma solamente per quelli, che spontaneamente vorranno passarvi” (al rito latino) e quindi i supplicanti chiedono lo stesso trattamento [AD, 20/12/1666, f. 71, Nota interna della SCPF].
Richiesta di mutazione del rito greco in latino nel Casale di Spezzano come è avvenuto nei casali albanesi di Bisignano, S. Marco ed Umbriatico. [AD, 20/12/1666, Atti. f. 338 v., Rescritto al Card. Rasponi del SCPF]
Con nota del gennaio 1667, la SCPF constata che la popolazione spezzanese veramente intende mutare rito come già comunicato dall’Arcivescovo di Rossano. [AD, Genn. 1667, Vol. 46 f. 170, Nota interna SCPF]
La SCPF, benché sia consapevole delle istanze degli spezzanesi, si dimostra prudente e perciò chiede all’Arc. di Rossano di accertarsi se la mutazione del rito è voluta da tutta la comunità spezzanese o da pochi e che a tal fine vengano interrogati, senza costrizione, tutti gli abitanti. [AD, Genn. 1667, Vol. 46 f. non numerato (v. f. 175), SCPF ad Arc. di Rossano]
L’arcivescovo Mons. Spinola rispondendo ad una richiesta della SCPF (26 marzo) in questo rapporto conferma che tutta la popolazione spezzanese intende mutare di rito, come ha potuto constatare di persona visitando il casale. Tutti, quindi, vogliono diventare latini, essendo rimasto un solo sacerdote greco “che a pena sa leggere” per cui, gli Spezzanesi non trovando soddisfazione nella confessione e non capendo il greco si confessano da due sacerdoti latini presenti nel casale. Inoltre, quei pochi Spezzanesi che hanno la possibilità di andare a scuola imparano il latino e non la lingua greca. L’arcivescovo, inoltre, comunica che questi Spezzanesi, avendo delle quaresime molto rigide, non possono convivere con le usanze dei latini presenti nel casale. Il prelato fa anche presente che da quando è scomparso il papàs Basta “nello ultimo di agosto” la sede parrocchiale è vacante ed è retta da suoi economi. [AD e GAN, 4/5/1667, f. 81, Arc. di Rossano a SCPF]
Ma succede un fatto strano: la SCPF scrive al “Barone” (lo Spinelli) di Spezzanello di non aderire alla richiesta degli spezzanesi di tornare al rito latino. [FR, 6 giugno 1667, n° 41122]
Constatato che tutta la popolazione del Casale di Spezzano intende passare al rito latino, come confermato anche dall’Arcivescovo di Rossano, la SCPF chiede che si invii il Breve approvato dal Pontefice Clemente IX seguendo la copia di “un altro simile, spedito dal 1634 per la Communità del Casale di S. Martino di Bisignano…”. [AD, 27/7/1667, Vol. 46 f. 176 (in calce), Nota interna SCPF]
Con una missiva dello stesso giorno 27 luglio 1667 la SCPF invia all’Arc. di Rossano il Breve papale che concede alla comunità del Casale di Spezzano di poter passare al rito latino. [AD, 27/7/1667, Vol. 46 f. 176 v., SCPF all’Arc. di Rossano]
I prudenti esperti del Vaticano, però, dopo aver esaminato la richiesta degli spezzanesi “concorrono potersi per la grazia non per tutta l’Università mà solamente per quelli che spontaneamente vorranno passarvi. Ne vengono pertanto supplicati le EE. VV.” [AD, anno 1667, Atti, f. 83 III.22 n° 18]
Mons. Rasponi, ripercorre gli ultimi momenti del cambio di rito in cui emerge che esso debba avvenire solo per quelli ne avessero fatta richiesta. Inoltre risulta che il vescovo di Rossano, recatosi in Spezzano aveva avuto modo di accertarsi che “haveva trovati tutti desiderosi di fare la detta mutazione di Rito” per il fatto che il sacerdote greco (d. Antonio Capparello) era ignorante e che ciò costringeva i fedeli a confessarsi e sentir messa presso i sacerdoti latini; che non si è certi che nel futuro “non esservi chi sia per apprendere la Lingua Greca”; inoltre, venuto a mancare il papàs Basta gli affari economici erano gestiti da questo “Sacerdote Albanese ignorante”. Alla fine della relazione il Rasponi a margine annota:”Concedetur licentia facto Verbo cum Sanctissimo”. [ AD, anno 1667, Atti f. 152. 4. N. 17, Mons. Rasponi]
Il 3 agosto 1667 il Papa, dalla Chiesa di S. M. Maggiore, scrive all’Arcivescovo di Rossano di concedere agli italo-greci di Spezzano di passare al rito latino “si matura deliberatione praevia et sponte omnes petierent” e di accoglierli secondo i dettami di Propaganda Fide. [ FR, 3 agosto 1667, n° 441180]
In data 2 nov. 1667, in una relazione in lingua latina, il delegato apostolico e vicario della Diocesi di Rossano M. A. Contestabile avendo preso visione dei fascicoli della SCPF del 26 Marzo 1667, delle istanze prodotte dall’Università del Casale di Spezzano, della relazione presentata dall’Arc. di Rossano e del Breve papale del 3 agosto 1667, delle richieste di mutamento di rito dei singoli cittadini, provvede che si invii nel Casale un “Idoneo Rettore, seu Archip.o latino”. Da questo momento tutti i documenti saranno stesi in lingua latina. [GAN, 2/11/1667, M. A. Contestabile vic. di Rossano]
Evidentemente nel Casale sarà avvenuto qualche fatto grave, taciuto nelle fonti ufficiali, fra i sostenitori del vecchio rito e del nuovo tanto da mobilitare nuovamente la diocesi di Rossano. Il vicario Contestabile, infatti, si reca personalmente in Spezzano ed interroga Matteo Luci, già sindaco, che nuovamente richiede di passare al rito latino, unitamente a tanti cittadini del casale, ed aggiunge che “… da che sono nato io ho vissuto sempre il rito greco, conforme come la mag.r parte di q.sto loco di Spezzano”. Il Luci interrogato sul perché intende mutare di rito e se sia stato minacciato risponde che da circa quarantadue anni sia lui e sia molti abitanti del casale intendono passare al rito latino “specialmente per la scarsezza, e penuria di Preti greci c’istruiscono et assistono nelle cure spirituali, et anco perché conosciamo espressamente che col vivere sotto il rito latino possiamo in meglior forme servir Iddio bened.to et approfittarci nelle cose spirituali”. Inoltre aggiunge che “non sono stato mai sedotto ne minacciato da persona alcuna…”. Sottolinea che tutto si è discusso “in pubblico parlamento di far q.o passaggio, e di supplicare il Sommo Pontefice di q.a Grazia”. Il Luci non si pente di cambiare rito perché “ho pensato bene da molto tempo fa e stimo che non mi pentirò di questo”.
I consiglieri Giorgio Cucci e Luigi Molfa, confermano quanto sopra detto mentre Battista Sarai (?) aggiunge di cambiare “Perché il rito greco essendo quasi monastico con tante quaresime e restrizioni si rende difficile d’osservarsi puntualmente, stando al secolo”.
A queste voci si aggiungono similmente quelle di altri cinquanta spezzanesi. L’interrogatorio viene sospeso “pro tarditate hore” ed il verbale firmato da Teseo Cassiano, dal vicario Contestabile e dall’attuario Magarolus (!). [ GAN, 6 /11/1667, M. A. Contestabile vic. di Rossano]
Il sottodelegato apostolico Teseo Cassiano, il 7 ed 8 Nov. 1667, è ancora presente nel Casale di Spezzano presso il sindaco ed altri membri del Consiglio per interrogare i rimanenti che al “ritum latinum transire cupiunt”. [ GAN, 7/11/1667, Teseo Cassiano]
Con una breve relazione conclusiva il vicario Contestabile, citando un’ennesima richiesta presentata a Roma dai cittadini spezzanesi (23/3/1667), il Breve papale del 3 agosto dello stesso anno, i verbali degli interrogatori resi spontaneamente da cui si evince la volontà che tutta la popolazione spezzanese “transire velle à ritu greco ad ritum Latinum, et pro Eiusmodi voluntante permanere”, autorizza a far procedere l’iter affinché il casale di Spezzano sia provvisto “de Idoneo Rettore” latino [GAN, 11/11/1667, M. A. Contestabile a SCPF].

Epilogo con misteri
La fredda relazione del prelato chiude definitivamente la tribolata vicenda del cambio del rito nella comunità di “Spezzanello di Tarsia” che la mattina del 4 marzo 1668 vedrà l’arciprete d. Vincenzo Magnocavallo prendere “pacificam possessionem” e celebrare messa nel rito latino. Ma sarà veramente pacifico questo ministero? Il suo mandato dura poco perché, nel 1675, il suo nome scompare dagli atti parrocchiali per lasciare il posto all’economo p. Antonio Barberio
[26]. Circa la brevità della sua missione, lo studioso G. A. Nociti scrive che “Questo fa sospettare che sia stato privo di arcipretura per infermità o per qualche crimine”[27].
Anche il Longo si pone degli interrogativi: «Ritornando al primo arciprete latino, si rimane perplessi per la misteriosa scomparsa. È allontanato? Si è volontariamente dimesso? Cosa è successo? Non si può dare nessuna risposta. È un “giallo” senza neanche ipotesi di soluzione»
[28].
I sospetti del Longo sono giusti e vengono confermati da documenti d’archivio in cui risulta che il Magnocavallo, nel giugno del 1677, lascia vacante la parrocchia ”per dimissionem”
[29]. Motivi di salute, dato che morirà ancora giovane? Ha contrasti insanabili con gli altri sacerdoti latini? Trova ostilità da parte di alcune frange di compaesani che non si sono rassegnati alla perdita del rito greco?
Ma un altro “giallo” è rappresentato dall’esistenza in vita, il 17 febbraio 1666, di d. Nicolò Basta il cui nome compare in un atto redatto in Spezzano
[30]. Dunque il papàs è stato liberato dopo le sue accorate lettere inviate alla SCPF o ha ottenuto la libertà dopo aver rinunciato pubblicamente all’arcipretura ed ai relativi benefici? Ha forse goduto di un momento di libertà provvisoria per sistemare alcune faccende di famiglia? Per certo sappiamo che il suo atto di morte non risulta registrato nella parrocchia di appartenenza!
Per quanto riguarda la sua famiglia nessuno dei suoi numerosi figli verrà perseguitato: alcuni formeranno famiglia e si spegneranno tutti nel casale, riveriti con titoli e proprietà, non alimentando affatto una diaspora verso la vicina Civita!
[31]
Ma, o morto il Basta nella sua Spezzano, presso i propri amati fedeli, o in una buia cella del carcere di Rossano per volere degli Spinelli, sta di fatto che Spixana-Spezzano Albanese non è riuscita mai più a riappropriarsi della fede e dei riti degli avi nonostante due tentativi nella prima metà del XVIII sec. ed uno nel primo ventennio del XX sec.: qualcuno fallito per mano di laici ma gli altri certamente per mano degli arcipreti che non volevano perdere potere e privilegi[32].


[1] R. Villari, Storia moderna per le scuole medie superiori, Laterza, Bari, 1976, cap. VI e VIII.
[2] E. Capani, L’Inquisizione in Calabria e le persecuzioni contro i Valdesi, in “Apollinea”, Anno XI – n. 1 – gennaio-febbraio 2007, pag. 37.
[3] V. Elmo, Le grandi anime della piccola patria arbreshe (Macchia, S. Cosmo, S. Demetrio, S. Giorgio, S. Sofia, Spezzano e Vaccarizzo), Editore Marco, Lungro (Cs), 2003. Vittorio Elmo (1924-’99), avvocato e funzionario statale, ha cercato con i suoi scritti di dare una lettura veritiera delle vicende della minoranza etnica arbëreshe. Interessante risulta la prefazione curata dall’editore Costantino Marco.
[4] Cfr. Pietro P. Rodotà, Dell’origine, progresso e stato presente del Rito Greco in Italia, Roma, 1758.
[5] F. Godino, Gli Albanesi e la difesa del Rito Greco in Calabria, Ed. MIT, Cosenza, 1971, I edizione.
[6] I. C. Fortino, La latinizzazione di Spezzano Albanese, in”Zgjimi-Il Risveglio”, A. IX, n.1,1971, pag. 17-29. Il prof. I. C. Fortino è attualmente ordinario della cattedra di Lingua e Letteratura Albanese presso il prestigioso Istituto Orientale di Napoli.
[7] “Documentazione riguardante il passaggio dal rito greco al rito latino in Spezzano Albanese (1662-1667). L’anonimo ricercatore nella pagina successiva scrive: “Tutto ciò che ho potuto raccogliere nell’Archivio di Propaganda Fide circa il passaggio dal rito greco al rito latino (1662-1667) in Spezzano Albanese (Cosenza)”.
[8] G. A. Nociti, Platea da servire per la compilazione di una storia del Distretto o del Circondario di Spezzano Albanese – Joseph Angelus Nocitius scripsit, collegit, consuit anno 1860, ms. inedito, pag. 253-276.
[9] F. Russo, Regesto Vaticano per la Calabria, Gesualdi Editore, Roma, 1975.
[10] A. Savaglio, I Sanseverino e il feudo di Terranova (La Platea di Sebastiano della Valle del 1544), Edizioni Orizzonti Meridionali, Cosenza, 1997.
[11] Cfr. L. Renzo, In Calabria tra storia e costume, Ferrari editore, Rossano (Cs), 2003, pag. 84 e segg.
[12] In arbërisht “Maghaxini i Kurtjes”. Nel 1852 circa l’antico immobile è stato acquistato dal barone Luigi Longo che vi ha costruito il palazzo omonimo in Via Roma.
[13] Attuale Santuario di S. M. delle Grazie, patrona del paese.
[14] Cfr. V. Capparelli, Gli alunni albanesi ed italo-albanesi del Collegio Greco di Roma, in “Zgjimi- Il Risveglio”, A. X n.2, 1972, pag. 12.
[15] Nella chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo nel 1645 esisteva la Cappella di S. Giuseppe sulla quale esercitava lo juspatronato il clerico Francesco A. Magnocavallo; altre cappelle dentro la stessa chiesa erano quella di S. M.. di Costantinopoli della famiglia Ribecco (1655) e quella del Purgatorio della famiglia Cucci; nella chiesa di S. M. di Costantinopoli vi era, invece, la cappella di S. Antonio abate.
[16] Cfr. I. Mazziotti, Immigrazioni albanesi in Calabria nel XV sec. e la colonia di S. Demetrio Corone (1471-1815), Edizioni “il Coscile”, Castrovillari (Cs), 2004, pag. 177.
[17] G. A. Nociti, op. cit., pag.22. I dati vengono confermati dalla consultazione degli archivi parrocchiali.
[18] G. Acquafredda, Il “primo manoscritto spezzanese”: un importante documento della nostra storia, A cura del Bashkim Kulturor Arbëresh di Spezzano Albanese (Cs), 1992;
[19] Cfr. G. Acquafredda, Per una storia della scuola spezzanese (1600-1920), TNT grafica s.r.l., Spezzano Albanese (Cs), 2003, pag. 13-15.
[20] Da recenti ricerche è emerso, invece, che il condottiero farnesiano Giorgio Basta sia nato in un casale del Monferrato e si sia spento a Praga nel 1607.
[21] Cfr. F. Russo, Regesto Vaticano per la Calabria, Gesualdi editore, Roma, 1975, (34387), 5 gennaio 1644.
[22] Nel documento vaticano si cita un tale Teodoro Longo che, però, non compare nella cronotassi dei sacerdoti spezzanesi. Dal confronto delle date di nascita dei figli e della prima citazione di Giovanna Lanza noi riteniamo che si tratti invece di d. Nicolò Basta. Cfr. F. Russo, op. cit., (33003), 1 marzo 1639.
[23] Dalla consultazione degli archivi parrocchiali risulta che negli anni1662 e 1663 si è registrata un’alta percentuale di mortalità infantile e giovanile.
[24] G. A. Nociti, op. cit., pag. 22.
[25] Tra parentesi è indicato il numero dei membri firmatari. Manca la componente femminile.
[26] Padre Antonio Barberio (1631-’81) proveniva dal convento dei Frati Riformati di S. Francesco della vicina S. Lorenzo del Vallo che perderà pure il rito greco pur appartenendo ad altra giurisdizione feudale.
[27] Cfr. G. A. Nociti, op. cit., pag. 232.
[28] V. Longo, Gli Arcipreti di Spixana, Trimograf, Spezzano Albanese (Cs), 1985, pag. 19-20.
[29] Francesco Russo, Regesto Vaticano per la Calabria, Gesualdi editore, Roma, 1975, (43855), giugno 1677.
[30] G. A. Nociti, op. cit., pag. 312. L’estratto che riportiamo è stato redatto dal notaio Gregorio Corrado di Terranova: “1666. 17 febbr. … Nel Casale di Spezzano …Istrumento stipulato per mano di D. Nicolò Basta – Fol. 2 289. 9 Nov. Casalis Spezzani … fol. 14”. Purtroppo negli Archivi di Stato di Cosenza e di Castrovillari non esistono i repertori del citato notaio.
[31] Sui Basta di Spezzano Albanese e quelli di Civita, a causa delle omonimie è stata fatta una grande confusione prima dallo studioso Minieri Riccio (1844) e poi da altri, ultimo G. Laviola, Dizionario bibliografico degli Italo-albanesi, Edizioni Brenner, Cosenza, 2006, pag. 25.
[32] Subito dopo la morte di d. Vincenzo Magnocavallo, nel paese cominciarono a celebrarsi matrimoni in rito greco. Nei primi decenni del Settecento i matrimoni in rito orientale furono sostenuti dal Magn. Francesco Cucci e da suo figlio, l’avvocato e clericus dott. Angelo Cucci, che concedevano la propria abitazione per le funzioni. Nel 1744, un altro ramo dei Cucci intende far stabilire nel Ritiro del Carmine l’ordine basiliano ma il progetto viene bloccato da un ricorso di cittadini indirizzato a re Carlo III di Borbone. Infine l’arciprete d. Ferdinando Guaglianone jr. (1843-1927) si ingegnò, facendo carte false, affinché Spezzano Albanese non venisse scelta dal Vaticano come sede della istituenda Eparchia bizantina che, invece, verrà stabilita a Lungro (1919). Cfr. Francesco Marchianò, Dopo il cambio del rito greco a Spezzano Albanese, in “Katundi Ynë” , A. XXXIX, - n° 97 – 1998/4, pag. 15.