mercoledì 31 agosto 2011

http://makj.jimdo.com/ (Grazie Fratello Josiph Cosentino salvezza dell'identità della Fede Ortodossa Italo-Albanese)

Gli albanesi, andavano infettando il popolo con le stravaganti opinioni, e nutrivano nell’animo il veleno contro l’autorità del papa…, che avevano del disprezzo per le censure, e indulgenza, che negavano le pene del purgatorio, somministravano l’Eucarestia ai bambini…” (dal Romanus Pontifex - bolla papale di Pio IV – 1564)
 
 
GLI ALBANESI DI CALABRIA E IL GIUBILEO [i]
 
 
di Pietro De Leo
        
La breve relazione che terrò sul tema affidatomi, contiene alcuni aspetti biografici ed altri che connotano la mia esperienza di studi fatti su questa particolare etnia, quale è quella degli Albanesi calabresi. Ero ancora ragazzo quando nella città di Lecce mi aggiravo nei pressi di Santa Croce dove c’è tuttora una chiesa greca, l’unica parrocchia italo-albanese, nel quartiere omonimo, che non si apriva mai nello stesso giorno in cui si officiava nelle chiese latine, né sapevamo quando questo luogo di culto degli Albanesi veniva aperto. Appena si sentivano suonare le campane, tutti noi, ancora ragazzi, ci recavamo nei pressi di questa chiesa, incuriositi dalla diversità di questo luogo di culto, dove non c’erario altari privilegiati, né posti a sedere, per cui bisognava rimanere in piedi. Il Papas veniva presso questa comunità quando credeva, voleva o doveva, e noi eravamo curiosi di vedere e di sentire questa Messa che era diversissima da quella che noi ascoltavamo almeno una volta la settimana, ogni domenica. E la cosa ci incuriosiva davvero tanto.
     Ciò che notai sempre e subito era la diversità di approccio tra la religiosità greca e quella latina, erano però intuizioni che non si potevano capire a sette o otto anni e che invece, un giorno mentre, giovane liceale, andavo da Lecce a Bari, cominciai a capire meglio quando, nel vagone del treno dove io e il mio amico alloggiavamo, salirono a Brindisi alcuni preti ortodossi.
     Nel nostro scompartimento c’erano alcune suore che recitavano il rosario e, cosa che non dimenticherò mai — era il 2 agosto — dicevano che, non potendo partecipare quel giorno alla Messa, non avrebbero potuto lucrare l’Indulgenza.
     Appena videro questi Papas, col cappello inconfondibile, che entravano nello scompartimento, si alzarono come se avessero visto il diavolo e se ne andarono.
   Qualcosa non mi convinceva, e proprio da questo episodio nasceva la curiosità, divenuta in seguito anche riflessione culturale, di avviare uno studio approfondito sugli Albanesi di Lecce, dove erano già presenti nel secolo XVI, sin dagli inizi del Cinquecento.
     Avevo già pubblicato uno Stato delle Anime e mi ero imbattuto in quasi seimila Albanesi che costituivano un terzo della popolazione; vedevo però che nella mia città la loro lingua non si parlava più.
     Ma, ecco il fatto curioso che era emerso: c’era stato un Pietro Antonio Sanseverino, Principe di Bisignano, che aveva sposato una Castriota Scanderbeg, duchessa di San Pietro in Galatina e che si era interessato a questi reietti o depravati come si diceva nei Capitoli della città di Lecce: si esortava a portarli via perché erano un vero disastro!
     Li avevano condotti qui in Calabria, in luoghi impervi, dove appunto vigeva la cosiddetta «legge della montagna»: non era consentito loro uscire, specie nei giorni di fiera, perché erano considerati e chiamati «ladroni e mascalzoni».
     Parlavano una lingua diversa, tant’è che sono stati considerati come diversi e tali si qualificarono essi stessi.
* * *
 
Nell’ottobre del 1997 seguivo per conto della Regione Calabria i finanziamenti della Legge sul Giubileo, e vedevo che tantissimi paesi albanesi avevano fatto richiesta per i contributi economici legati all’Anno Santo. E visto che, appena sono a Roma una visita fugace alla Biblioteca Vaticana non manca mai, mi capitò sottomano una lettera del cardinale Santoro del 24 gennaio 1577 al vicario episcopale di Crotone, Girolamo Valente, il quale aveva denunciato di aver scoperto tutti eretici i preti greci della sua diocesi.
     Tra le accuse abituali che venivano loro mosse, in primo luogo, vi era la denuncia della convinzione che si dice essere propria di tutti gli Albanesi di Calabria, secondo cui non si devono osservare «iubilei
et indulgentiae» che manda il santissimo Padre, ma solo quelli che manda il Patriarca di Costantinopoli.
     Volli verificare la notizia e trovai che negli Statuti del 1596 della diocesi di Cassano redatti dal vescovo Auderio, poi segretario del cardinale Borromeo, si legge testualmente nel capitolo De
indulgentiis: «Ubi mero de indulgentiis agitur et iubileis, quondaim greci nullo pacto persuaderi possunt ut illa osservent» («Dove poi si tratta delle indulgenze e dei giubilei, non c’è per nulla verso che essi si possano convincere di questo»)
     Naturalmente dobbiamo capire perché gli Albanesi da sempre hanno osservato tale norma, nonostante tutti i contraccolpi dell’episcopato latino che li voleva assolutamente organizzare all’interno della propria Chiesa, e perché hanno sempre resistito alla celebrazione del Giubileo. Uno dei motivi fondamentali era il parametro diverso del computo del tempo; come ben sapete, noi cristiani, tardivamente, solo dal quarto secolo, iniziamo il computo in die a Nativitate Domini nostri Jesu Christi, ovvero dalla nascita di Cristo.
     La Chiesa greca, ha sempre calcolato gli anni ab origine mundi, quindi l’anno della nascita di Cristo éra il 5508, ed in Calabria in particolare, fino al 1620, molte comunità hanno sempre osservato sia il computo dalla creazione, sia quello greco, e iniziavano tranquillamente l’anno il primo di settembre, secondo quanto avveniva nel mondo orientale e nella Chiesa bizantina.
     Parlare di Giubileo era dunque un’argomentazione. che andava al di fuori dei riferimenti canonici e religiosi della Chiesa orientale che non concepisce in alcun modo il discorso sulle Indulgenze.
     Eppure, la cosa mi stupiva perché ricordavo di aver letto nel sesto capitolo del terzo libro del Rodotà[ii], quanto segue: «La fede che hanno professata gli Albanesi è quella stessa che è spuntata nell’emisfero della Macedonia nei primi secoli della chiesa, per opera di San Paolo; fu dai loro primi antenati, successivamente, tramandata ai tardi nipoti, i quali, volgendo a lei avidi gli occhi e stendendo pure le mani, la accolsero nei loro petti e la crebbero nei loro cuori serbandola schietta e limpida qual fu la pura sorgente donde sgorgò senza mai intorbidirla con mescolanza di fango e di creta che ne hanno dato sinceri e sicuri contrassegni fino ai nostri giorni».
     Quando poi mi soffermavo a leggere le memorie dei Valdesi di Calabria, che chiamavano «mescolanza di fango e creta» le Indulgenze dei Romani Pontefici, i quali le concedevano probabilmente anche in senso mercantile, allora ecco che in un certo senso questa connotazione del rifiuto del Giubileo e dell’Indulgenza, la trovavo molto adeguata agli schemi mentali e religiosi degli Albanesi stessi.
     A tale proposito, numerosi sono gli interventi che i Pontefici Romani soprattutto a partire dal Giubileo del 1575 al Giubileo del 1650, hanno fatto sia nei riguardi dei Grecanici sia nei riguardi degli Albanesi, minacciandoli di scomunica se avessero ancora ritenuto di non dovere accettare la sacra Indulgenza del Giubileo, che era in effetti molto lontana dalla loro spiritualità, dalla loro religiosità e dalla loro catechesi
     Darò poi tutte le indicazioni che vengono portate in questo senso nei Registri pontifici; vero che qualche Albanese è disposto ancora ad andare in pellegrinaggio verso la Terra Santa, ma non per acquistare l’Indulgenza bensì per visitare i luoghi della Redenzione.
     Siamo in presenza di due mondi differenti e distinti che sono stati poi in parte ricongiunti quando dopo l’istituzione del Collegio Greco (prima quello di Roma e poi quello di San Benedetto Ullano nella diocesi di Bisignano), con la sua particolare attenzione e lungimiranza la Sede Apostolica ha riconosciuto almeno parte di quelle identità religiose, costituendo tra l’altro due eparchie o diocesi greche per gli italo-albanesi (prima quella di Lungro in Calabria neI 1919, poi quella di Piana degli Albanesi in Sicilia nel 1937).
     Proprio quest’anno mi è capitato di andare al Collegio Greco di Roma e di incontrare il vescovo di Piana degli Albanesi, al quale ho rivolto questa domanda: « Eccellenza, ma lei crede nel Giubileo? »; rispose: «Ben conoscendo la teologia ortodossa, non scriverò mai la parola Giubileo nelle mie lettere pastorali».
     Era la risposta che io avevo già dato ai sindaci che facevano pressione per avere i finanziamenti del Giubileo, invitandoli ad una maggiore serietà nelle richieste. Giustamente, di fronte alla mia esortazione il comune di Guardia Piemontese, ritirò subito la sua richiesta in merito.
     Agli altri sindaci cercai di spiegare che era inutile richiedere finanziamenti in vista del Giubileo, visto che le loro tradizioni sono tutt’altro che in sintonia con tali prospettive e pratiche religiose.
Il sindaco di Bova mi disse: <
     A Bova difatti è stato finanziato il totale recupero della sinagoga. Perciò credo che anche queste situazioni, giubilari o non giubilari che siano, ci consentono di approfondire quei piccoli segmenti socio-culturali che sono propri dell’identità religiosa di un popolo, che vanno preservati come tali e che non vanno invece soggetti a confusione.
     Oggi esiste invece un pericolo reale: quello dell’omologazione degli Albanesi alle tradizioni della Chiesa e della cultura latina. Il pericolo è presente e per due motivi: quello che ormai gli Albanesi finalmente non vivono più isolati; la maggioranza di essi vive infatti in luoghi aperti che non tutelano, come accadeva in passato, una etnia chiusa (ed è bene che sia così); il secondo motivo è che per poter comunicare usano non il proprio idioma, ma la lingua italiana.
     Ed ancora, sussiste tra gli Albanesi la tendenza ad avere una sorta di riverenza verso la Chiesa latina pur avendo lottato fermamente in passato per preservare l’identità del proprio rito; tale riverenza si apre oggi a tal punto che era stato addirittura programmata l’istituzione di un santuario con possibilità di lucrarvi le indulgenze. Per fortuna un illuminato prelato come mons. Fortino osservò giustamente che la cosa era alquanto impropria e dell’iniziativa programmata non se ne è fatto più niente.
     Da tutto ciò nasce la considerazione che occorre stare molto attenti: lo studio del passato e quello delle identità delle singole etnie, ci consente anche di porre dei punti fermi, che non sono ottusità mentale, ma sono, a mio avviso, punti solidi per preservare dall’omologazione queste etnie che vanno invece e giustamente tutelate e salvaguardate
     Il Giubileo allora non c’entra assolutamente con le tradizioni degli italo-albanesi ed avrebbe più senso se le eparchie di Lungro o di Piana degli Albanesi si recassero a Roma non per il Giubileo, ma ad limina Apostolorum, come anticamente facevano i monaci greci; forse la cosa sarebbe sicuramente più appropriata e il giusto senso sarebbe più evidente.
     Il pellegrinaggio verso la tomba degli Apostoli aveva infatti questo particolare significato: non per ottenere l’indulgenza, ma per un forte senso di presenza fisica dei Santi Pietro e Paolo in quel luogo che è stato santificato dalla testimonianza altissima della loro fede nel martirio.
 
NOTE

[i] Tratto dagli “Atti del convegno di studi” dedicato alle “Minoranze etniche e culturali nella Calabria settentrionale fra il XV e il XIX secolo”, pagg. 23/27 – Presente nei Quaderni “il Palio” a cura di Luigi Falcone – Bisignano 19 giugno 2000;
[ii] Rodotà, Dell’origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia, Roma, 1763.

venerdì 5 agosto 2011

 A tutte le Fedeli, a tutti i Fedeli,
a tutte le amiche,
a tutti gli amici che stanno 
usufruendo delle sospirate ferie

BUONE VACANZE

buon divertimento, buon riposo
ovunque voi siate !!!!!!