venerdì 25 marzo 2011

Domenica 27 marzo 2011
Terza Domenica di Quaresima
  Adorazione della preziosa e vivificante Croce 
  Tono III  –   Digiuno con licenza di olio e vino
Liturgia di San Basilio



Antifone della festa:

1) Lettore: Esimiòthi ef’imàs to fos tu prosòpu su, Kirie.
E’dhokas efrosìnin is tin kardhìan mu.

Coro: Tes presvìes tis Theotòku,
Sòter, sòson imàs.


2) Lettore: Ìdhosan panda ta pèrata tis ghìs
To sotìrion tu Theù imòn.

Coro: Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs
ek nekròn, psàllondàs si:
Alliluia.



3) Lettore: Ipsùte Kìrion ton Theòn imòn, ke proskinìte
To ipopodhìo ton podhòn aftù, òti àghiòs estìn.

Coro: Sòson Kìrie, ton laòn su, ke evlòghison tin klironomìan su,
nìkas tis vasilèfsi katà varvàron dhorùmenos, ke to sòn
filàtton dhià tu Stravrù su polìtevma.


Tropari


Tono III

Evfrenèstho ta urània, *
agalliàstho ta epìghia, * òti
epìise kràtos * en vrachìoni
aftù * o Kìrios; epàtise to
thanàto ton thànaton, * pro-
tòtokos ton nekròn eghèneto;
* ek kilìas Àdhu errìsato
imàs, * ke parèsche to kòsmo
to mèga èleos.

Tropario della festa

Sòson Kìrie, ton laòn su, ke evlòghison
tin klironomìan su, nìkas tis vasilèfsi katà
 varvàron dhorùmenos, ke to sòn
filàtton dhià tu Stravrù su polìtevma.

(Tropario del Santo della Chiesa)

………   …….    ……..


Kontakion

Ti ipermàcho stratigò ta nikitìria,
os litrothìsa ton dhinòn efcharistìa
anagràfo si i pòlis su, Theotòke.
All’os èchusa to kràtos aprosmàchiton,
Ek pandìon me kindhìnon elefthèroson,
Ìna kràzo si: Chère, Nìmfi anìmfefte.


Invece del Trisajon  (Santo Dio ……..)

Ton Stavròn su proskinùmen, Dhèspota,
ke tin aghìan su Anàstasin dhoxàzomen.


Apostolo  (Ebrei 4,14 – 5,6))

- Salva, o Signore, il tuo popolo e  benedici la tua eredità.

- A te grido, Signore; non restare in silenzio, mio Dio.

Lettura dalla lettera di San Paolo agli Ebrei.
Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno. Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.  In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anch'egli rivestito di debolezza;  proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo.  Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne.  Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferì colui che gli disse:
Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato.  Come in un altro passo dice:
Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchìsedek.

Alliluia (3 volte).

Ricordati, Signore, del tuo popolo che ti sei acquistato
da principio; hai riscattato lo scettro della tua eredità.

Alliluia (3 volte).
Eppure Dio che è stato nostro re prima dei secoli,
ha operato la salvezza nella nostra terra.

Alliluia (3 volte).

Vangelo  (Mc. 8,34b-9,1)

«Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi». E diceva loro: «In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza».

Megalinarion

Epì si chère, Kecharitomèni, pàsa i ktìsis, anghjèlon to sìstema, kje anthròpon to ghènos, ighiasmène naè, kje paràdise loghikè, parthenikòn kàfchima, ex is Theòs esàrkothi, kje pedìon ghègonen o pro eònon ipàrchon Theòs imòn; tin gar sin mìtran thrònon epìise, kje tin sin gastèra platitèran uranòn apirgàsato. Epì si chère, Kecharitomèni, pàsa i ktìsis, dhòxa si.

Kinonikon

Esimiòthi ef’imàs to fòs
tu prosòpu su, Kìrie.
Alleluia  

mercoledì 16 marzo 2011

Dal sito: http://katundetarbereshe.jimdo.com/

“C’era una volta…” Così inizia la “favola”raccontata e apparsa nella rivista dell’Arberia, Jeta Arbëreshë” (n. 47 del 2006, pag. 3). L’autore Gaetano Passarelli è un illustre professore, dove mette in evidenza il caso del “feudo” di Villa Badessa.
     Il piccolo villaggio arbëreshë di Villa Badessa,in provincia di Pescara, si trova a pochi chilometri dal comune di Rosciano (in Abruzzo), dove esiste una delle parrocchie uniate (la più settentrionale in Italia) delle 29 appartenenti alla diocesi di Lungro (in provincia di Cosenza). Anche a Villa Badessa è accaduto di assistere a quanto ormai avviene in quasi tutta l’isola (o ghettizzata) “chiesa bizantina arbëreshë”.
     Dell’articolo ci interessa soprattutto sottolineare (se mai abbiamo inteso bene) il valore “feudale” del popolo di Dio nella chiesa uniata-arbëreshë, o per dirla in termini moderni il numero “politico”. Purtroppo ben sappiamo, che per chi vive (come i fedeli arbëreshë) all’interno della gabbia vaticanista, esiste e “canta”, alla stessa s-tregua di quell’uccello del celebre proverbio popolare dove si dice che: “chiuso in gabbia, non canta per amore, ma per rabbia”. Quindi comprendiamo la nostra povera gente arbëreshë.
     Una cosa comunque è certa: la scomparsa silenziosa di tutto un popolo (quello arbëreshë appunto) si sta compiendo davanti agli occhi di tutti. E chi fino a ieri si vantava di aver aiutato, difeso, custodito l’identità degli arbëreshë e il “rito greco-bizantino” (la classe levitica, cortigiana e/o scriba-cchina di popolo) oggi si sta procedendo di gran corsa, alla cancellazione di quel poco che è rimasto di una tradizione orientale nei piccoli villaggi arbëreshë. Insomma, pare che vogliano mettere fine alla presenza secolare degli Arbëreshë.
 
 
UNA FAVOLA ROMENA: IL FEUDO DI VILLA BADESSA
 
 
di Gaetano Passarelli
veduta interna del paese arbershe di Villa Badessa
   C’era una volta. Così cominciavano e cominciano le storie, e così comincia anche quella che vi voglio raccontare.
   C’era una volta un conte, un signorotto in Calabria che, non si sa perché, non si sa per come, aveva ereditato un piccolo feudo in Abruzzo, di nome Villa Badessa.
   Questo signorotto, duro di cuore e di cervice, aveva diversi vassalli barbuti che amministravano le sue terre. Un giorno morì quello del feudo di Badessa, ma non si diede pensiero, lasciò che un mezzadro lo conducesse. Il poveretto s’era però lasciato abbindolare da una nobile famiglia. Così, nel piccolo feudo, non c’era foglia che non fosse soppesata al generoso desco della nobile famiglia.
   Un giorno il signorotto decise di nominare un vassallo barbuto per questa sua terra lontana. I sudditi, diffidenti, pensavano che nulla sarebbe cambiato: l’uno vale l’altro, si dicevano sconsolati, ma ben presto dovettero ricredersi. Questa terra cominciò a verdeggiare, a fiorire, e tanto era il profitto che tutti erano convinti, tranne la nobile famiglia spodestata. Non si diede, tuttavia, per vinta, e intensificò l’invito di piccioni viaggiatori al signorotto che solitamente non ascoltava alcuno, ma, per uno strano scherzo del destino, prestava sempre orecchio ai messaggi della nobile famiglia.
   Ora, avvenne che da un regno lontano cominciarono a venire dal signorotto uomini imberbi, tanti che gli riempirono la corte. “Sono incapaci di amministrare – si disse il signorotto – ma prima o poi impareranno”; e, all’insaputa di qualche vassallo, cominciava a nominare qualche uomo imberbe come valvassore. “tanto che cosa possono dire: loro sono miei vassalli ed io sono al di sopra della legge, anzi io sono la legge”, si rassicurava il signorotto. Ed essendo lui la legge, spesso non si peritava di passare maldestramente sopra a vassalli, valvassori e valvassini. Voi mi chiederete: ed i sudditi? Facile a dirsi. Quelli erano sempre poveretti, sia che appartenessero al grande o al piccolo feudo. Erano solo numeri.
   Un giorno in cui il vassallo di Badessa era lontano, arrivò all’improvviso, il signorotto con un valvassino imberbe. La nobile famiglia gli preparò il desco. Il cibo abbondante, la grande disponibilità, e chissà cos’altro, fecero prendere al signorotto una decisione: “Io sono la legge, quindi, tolgo quel vassallo barbuto e nomino il mio fedele ciambellano che si può servire del valvassino imberbe!”.
   Così avvenne che, senza nessun preavviso, nel piccolo feudo di Badessa giunse il ciambellano dalla voce possente, lesse il proclama del signorotto che lo nominava vassallo di quella terra, ma, lui impegnato a corte, lasciava il valvassino imberbe, coadiuvato dalla nobile famiglia.
   I sudditi piangevano tutti, tranne la nobile famiglia, che dopo tre anni di sofferenza, finalmente, riprendeva il controllo di ogni foglia.
   Avvenne in tal modo che i sudditi del piccolo feudo di Badessa dovettero constatare che il loro signorotto dalla lontana Calabria ancora una volta non li aveva considerati neppure numeri, ma questo poco importava, al signorotto, al suo ciambellano, alla nobile famiglia.
Una storia d’altri tempi, direte. L’epilogo è avvenuto solo l’altro giorno, 4 giugno,[i] giorno della Pentecoste. Perché questa precisazione cronologica? Perché la storia è molto chiara per i badessani, ma il lettore ignaro adesso deve sapere che quel signorotto è il vescovo di Lungro, il ciambellano il suo Vicario, il valvassino imberbe il vice-parroco romeno. Sì, l’ennesimo romeno. Esagerato aver usato una tale figura per designare il vescovo, mi si potrà dire. Certo, il comportamento non è stato paterno né rispettoso delle persone, di quella che spesso vien detta “la comunità ecclesiale”. Eh, sì, la realtà spesso supera la fantasia e la finzione. Chi ha orecchie da intendere, intenda.

lunedì 14 marzo 2011

Dal sito: dirittodicronaca.it

Nato il primo bimbo africano di Acquaformosa


ACQUAFORMOSA – E' un giorno di festa per Acquaformosa che, venerdì sera, ha accolto con gioia la nascita del primo bambino africano, Onawi Giovanni, avuto grazie all'adesione della comunità arbëreshe al progetto Sprar 2011-2013.
Infatti, il comune “deleghistizzato”, in linea con il primo articolo del regolamento stilato, che recita: “noi non togliamo le panchine agli immigrati anzi le dotiamo di cuscini”, ha accolto diversi nuclei familiari dal 17 gennaio scorso.
«Non solo abbiamo accolto i bisognosi -ha detto il sindaco Giovanni Manoccio- ma siamo andati oltre, perché gli abbiamo dato una casa, un vitto, delle prestazioni mediche e sociali e abbiamo messo in campo tutte quelle azioni che mirano ad accogliere e successivamente ad integrare nel tessuto sociale ed economico queste persone». Un'opera che annovera fra i primi arrivi quelli di due nuclei familiari armeni di cinque persone l'uno. Ma la storia del neonato Giovanni, di origini nigeriane, ha albori molto sofferti. Infatti, papà Larry e mamma Blesing partono dalla Nigeria con il figlioletto David, oggi di due anni. La famiglia attraversa il Niger, poi il deserto quindi si imbarca per Lampedusa dove viene trasferita a Crotone. Dopo un periodo a Signano, eccola arrivare sulle montagne del Pollino ad Acquaformosa.
Qui, grazie all'associazione don Vincenzo Matrangolo che gestisce il progetto, la famiglia nigeriana ha trovato accoglienza, anche nella comunità, ed oggi, dopo la nascita del piccolo Giovanni, chiamato così in onore del sindaco Manoccio, è il presidente Cosimo Vicchio a darne il lieto annuncio.
«La venuta al mondo di Onawi Giovanni -afferma Vicchio- è stato un evento di un'emozione incredibile, l'arrivo di questo piccoletto è una speranza per tutta la nostra comunità, il primo nato ad Acquaformosa nel 2011, quindi un momento di gioia per tutti per l'arrivo di questo nostro concittadino». Dal canto suo, papà Larry ha ringraziato i membri dell'associazione ed i medici e gli infermieri del nosocomio di Castroviallri per la “professionalità e l'affetto dimostrato durante il parto”.

venerdì 11 marzo 2011

Dal sito cattolico: Zenit.org

Anche l'Etiopia teatro di scontri tra cristiani e musulmani
Incerto il bilancio dei morti, edifici e luoghi di culto cristiani dati alle fiamme
di Paul De Maeyer

ROMA, venerdì, 11 marzo 2011 (ZENIT.org).- Anche dall'Etiopia giungono notizie di un'ondata di violenza interreligiosa. Come ha riferito il sito Compass Direct News (CDN, 7 marzo), l'epicentro dei pesanti scontri fra musulmani e cristiani è la città centro-occidentale di Asendabo, nei pressi di Gimma (o Jimma, capoluogo dell'ex provincia di Kaffa), nella più grande e popolosa regione del Paese del Corno d'Africa, Oromia (o Oromya).
Un bilancio molto provvisorio parla di almeno due cristiani uccisi. Lo ha confermato a Voice of America (8 marzo) il portavoce del governo etiope, Shimelis Kemal. Una delle vittime sarebbe un credente della Chiesa ortodossa etiope (che si definisce "Tewahedo" o miafisita), la cui figlia appartiene alla Chiesa Evangelica Etiope Mekane Yesus (di tradizione luterana). "È difficile fare delle stime in termini di decessi, dato che non abbiamo accesso a nessun posto", ha detto una fonte a Compass. I danni materiali sono molto pesanti: decine di edifici e di luoghi di culto cristiani, fra cui anche alcune scuole bibliche, e case sono state date alle fiamme. La violenza ha provocato inoltre alcune migliaia di sfollati.
Mentre più della metà della popolazione dell'Etiopia è cristiana (secondo l'ultimo censimento, del 2007, il 44% degli abitanti appartiene alla Chiesa ortodossa etiope e il 19% alle varie denominazioni evangeliche e pentecostali), la zona di Asendabo e Gimma è a maggioranza islamica e da tempo teatro di rivalità tra le due comunità. Secondo una fonte di Compass, gli attacchi contro le chiese sono diventati all'ordine del giorno nelle zone a maggioranza musulmana dell'Etiopia, come appunto Gimma o anche Giggiga (o Jijiga), la regione somala nell'est del Paese, dove vige la legge islamica o sharia.
La scintilla che ha fatto scoppiare il 2 marzo scorso l'ondata di violenza è stata una notizia - non confermata - di una presunta profanazione del Corano. Un cristiano avrebbe strappato una copia del libro sacro dell'islam.
Secondo le informazioni raccolte da Compass, dopo i primi scontri avvenuti ad Asendabo la violenza si è propagata a macchia d'olio ad altri centri della zona, come Chiltie, Gilgel Gibe, Busa e Koticha. Migliaia di musulmani hanno dato l'assalto a decine di obiettivi cristiani. Dei 59 luoghi di culto distrutti ed incendiati dalle folle, ben 38 appartengono alla Ethiopian Kale Hiwot Church (EKHC, l'equivalente etiope della Chiesa battista), 12 alla Mekane Yesus e 6 alla Chiesa Avventista del Settimo Giorno.
Secondo quanto riportato da Compass, alcuni capi evangelici hanno riferito gli episodi alle autorità che finora non hanno fatto nulla per fermare l'ondata, che potrebbe raggiungere Gimma, che con i suoi circa 160.000 abitanti è il più grande centro urbano dell'Etiopia occidentale. Secondo alcune testimonianze, le forze dell'ordine non sarebbero intervenute, nonostante le richieste di protezione da parte della comunità cristiana.
L'inazione o incapacità da parte del governo etiope di fermare la violenza è stata fortemente criticata dall'organizzazione International Christian Concern (ICC). "I pubblici ufficiali etiopi hanno la responsabilità di proteggere i loro cittadini dagli attacchi. È uno scandalo e una violazione del loro obbligo contemplato nel diritto internazionale dei diritti umani che il governo lasci i musulmani uccidere i cristiani e distruggere le loro proprietà", ha detto Jonathan Racho, responsabile regionale per l'Africa dell'ICC (4 marzo).
A respingere l'accusa è stato lo stesso portavoce del governo centrale di Addis Abeba, Shimelis, che sempre a Voice of America ha annunciato l'arresto di 130 "estremisti" sospettati di aver fomentato l'odio religioso e la violenza.
La nuova ondata di violenza settaria coincide con i gravi combattimenti in corso al confine tra Kenya, Etiopia e Somalia, dove le forze del debole governo transitorio della Somalia cercano di cacciare con l'appoggio attivo dell'esercito etiope i miliziani del movimento islamista di Al-Shabaab dalla città di Bulahawo, nei pressi della città keniana di Mandera. Il capo della famigerata milizia estremista, sostenuta dall'Iran, Sheikh Mahad Omar Abdikarim, ha lanciato d'altronde la settimana scorsa un appello ai musulmani "oppressi" in Kenya e in Etiopia di insorgere contro i loro rispettivi governi e di "liberarsi" dal dominio cristiano (Africa Review, 4 marzo).
Il fondamentalismo islamico è d'altronde in crescita in Etiopia. Il 18 novembre scorso, un cristiano di Moyale (città della regione Oromia, sul confine con il Kenya) - Tamirat Woldegorgis, membro della Full Gospel Church - era stato condannato ad una pena di tre anni di prigione per aver dissacrato il Corano ed era stato trasferito in un carcere a Giggiga. Un collega musulmano aveva accusato l'uomo, che di mestiere faceva il sarto ed era stato arrestato ad agosto, di aver scritto "Gesù è il Signore" su un pezzo di stoffa e in un esemplare del Corano, accuse d'altronde mai comprovate dai fatti, come ha sottolineato Compass Direct News (29 novembre 2010).
Sono stati, inoltre, condannati al pagamento di una multa anche due amici di Woldegorgis per aver sostenuto un criminale che aveva dissacrato il Corano ed insultato l'islam. La loro colpa: avevano visitato lo sfortunato sarto in carcere e gli avevano procurato del cibo.
Sempre a Giggiga era stato arrestato dalla polizia ed incarcerato il 23 maggio del 2009 un noto convertito dall'islam al cristianesimo, Bashir Musa Ahmed, perché in possesso di otto esemplari della Bibbia. Nonostante la libertà di religione sia garantita dalla Costituzione etiope e si trattasse di un'edizione della Bibbia molto diffusa nella regione somala del Paese, l'accusa mossa nei confronti di Ahmed è stata di distribuzione di letteratura religiosa con intenti "maliziosi" (CDN, 18 febbraio 2010).
L'attività o zelo dei predicatori evangelici sembra infastidire non solo la comunità musulmana, ma anche la Chiesa ortodossa locale. Il 27 gennaio 2010, due edifici appartenenti rispettivamente alla Brethren Church e alla Mekane Yesus Church sono stati assaltati da gruppi di fedeli ortodossi nella località di Olenkomi, a circa 65 km ad ovest della capitale Addis Abeba, sempre nella regione Oromia (CDN, 15 aprile 2010). Nell'attacco un predicatore in visita nella cittadina, Abera Ongeremu, era rimasto gravemente ferito. All'origine del doppio attacco c'era stato un incendio di natura accidentale che aveva distrutto una chiesa ortodossa. Malvisto nella zona a predominanza ortodossa è anche il fatto che molti insegnanti della scuola secondaria di Olenkomi sono di fede evangelica.