mercoledì 30 gennaio 2013

 
Chiesa Ortodossa 
 Patriarcato di Mosca
Parrocchia
San Giovanni di Kronstadt
Palazzo Gallo - P.zza Vittorio Em. II 
(di fronte la pizzeria da Armando -
seguendo Corso Garibaldi a destra)
Castrovillari (cs)


 
03  Febbraio  2013
San Massimo il confessore

Tono II



 
Orario Ufficiature 

Sabato 02 - Ore 17,30: Vespro (Vecernie)

Domenica 03  - Ore 10.00 : Divina Liturgia 



  Carissimi Fedeli Ortodossi di 
Castrovillari e del circondario, 
carissimi Arbëreshë  dei paesi viciniori,
(San Basile - Frascineto - Ejanina - Civita)
 come sempre vi aspetto numerosissimi,
 per celebrare con Voi le Ufficiature 
della Vostra Chiesa e della Vostra
 Santa Tradizione Ortodossa.
Per qualsiasi informazione chiamate
 il Parroco al: 3280140556

sabato 26 gennaio 2013

La difficile eredità - di Nando Elmo

La difficile eredità - di nando elmo

pubblicata da Nando Elmo il giorno Sabato 26 gennaio 2013 alle ore 9.59 ·
 
Sono  giorni che canto “O monoghesis”  segno che  mi è entrato nell’anima più delle canzoni di Sanremo. E  mi dico: che  eredità, che responsabilità,  ci  hanno lasciato gli avi.
              " La liturgia in greco".

Se è vero quello che si racconta, i nostri preti antenati, che non erano sapienti come i nostri, tutti laureati in teologia, andavano, armati solo di fede, in Grecia o a Costantinopoli per farsi consacrare sacerdoti, affrontando chissà quali pericoli. Erano forse analfabeti i più, ma forse si ricordavano del greco che di sicuro i loro padri parlavano quand’erano in Grecia da dove partirono per l’Italia dopo la disfatta di Koroni.

Oj e Bukura Morè , cantavano.
Non cantavano “oj e bukura Shqiperi”.
E se venivano dalla Morea, erano bilingui come lo siamo noi, ai quali, se per qualche evento fosse impedita la lingua italiana, che è lingua passepartout, rimarrebbe solo l’Arbëresh.
Il greco, i nostri antenati, una volta stabilitisi in Italia, trascorsi i secoli, lo dimenticarono – destino di tutti gli emigrati.  Non era esso più la lingua ufficiale, non era la lingua dei commerci, non lingua burocratica, non la lingua del pane come direbbe Zef Skirò di Maxho, per questo c’era l’italiano che soppiantava il greco. Che rimase però legato solo alla liturgia, come d’altra parte il latino per litnjët, i latini dell'impero d'occidente.
  Ai miei tempi c’erano ad Acquaformosa analfabeti che parlavano solo l’Arbëresh. E ai maschi che avevano fatto il servizio militare poteva capitare di capire l’italiano ma di non parlarlo – altro fenomeno legato all’emigrazione: capisco il piemontese ma non lo parlo.
D’altra parte quanti sono quelli che ad Acquaformosa capiscono l’arbëresh, ma non lo parlano? Ad esempio: Alberto Lotito, Taurino, ed altri di cui non ricordo il nome. Così sarà avvenuto ai nostri antenati con il greco che capivano forse ma non parlavano: non parlata quella lingua non poteva che sparire dall’uso nelle necessità quotidiane che incrociavano nei commerci e nella burocrazia quelle italiane che noi chiamiamo latine. Latine, litire,  perché dell’impero d’occidente - essendo noi greco-albanesi “romei”, romani dell’unico impero romano quello d’oriente sopravvissuto dopo l’istituzione del Sacro Romano impero che era dei barbari  Franchi.
  In Morea, se da lì i nostri avi provenivano, ma anche dalla tebaide come testimonia il cognome Capparelli, gli arberori erano come i ticinesi italofoni in Svizzera, i quali non si dicono italiani ma svizzeri, e non hanno come eroe Garibaldi, come noi Skanderbeg, ma  Guglielmo Tell – dovremmo cambiare eroe eponimo. È vero che ai tempi non c’era l’idea poltica di Grecia, ma l’area linguistica  culturale sì.
 La grancassa Shqipetara battuta dai nostri intellettuali, tutti preti cattolici (Papas Sepa, Papas Solano, papas Vorea Ujko ecc…) puzza di bruciato. D’abbruciamento di una eredità e di una identità che doveva farci salvi dalle persecuzioni del Principe Spinelli, il quale in tempi in cui non si parlava di ecumenismo di facciata, non si peritava di assassinare da buon cattolico, come a Guardia Piemontese i Barbet, tutti quelli che non cantavano in latino le lodi del Signore.
Per i nostri antenati era meglio dirsi Shqipetari, dato l’eroe eponimo defensor fidei, che greci.
 Si favoleggia di una resistenza di Lungro, e di una desistenza di Spezzano agli attacchi dello Spinelli. Ma non sono uno storico. E dunque non mi avventuro in discorsi che non sono i miei, non vorrei passare sotto le forche caudine del sarcasmo di Francesco Damis.
Tuttavia le domande sono ineludibili. Se venissimo dall’Albania governata dal Defensor fidei, dove la messa si celebrava in latino forse non celebreremmo una liturgia in greco: l’albania era sotto l’influenza di Venezia, e dunque avrebbe avuto una messa latina, tradotta in albanese dal vescovo cattolico, educato a Venezia, Gjon Buzuku, ma latina. Se dunque celebriamo una messa in greco è perché i nostri erano greci di lingua albanese, ma greci. Dunque, probabilmente, ortodossi.
Non voglio avventurarmi qui in discorsi che riguardino le appartenenze a questa o a quella confessione. La cosa non mi appassiona.
 Mi appassiona, invece, il fatto che a me sia toccata questa, che non so come chiamare se fortuna  o jattura, d’essere nato, gettato, in una cultura che parla Arbërisht e prega in greco.
E se le prime parole che ho sentito appena nato erano arberische, di sicuro le seconde sono state greche, quando (allora s’usava) fui offerto come primogenito al Signore e zoti më dha grekisht uratën, - il prete mi ha benedetto in greco. E v’assicuro che don Matrangolo allora non metteva nella liturgia parole arberische o italiane. Quindi se devo credere a un imprinting, le mie orecchie sono state impresse per l’eternità con fonemi arberischi e greci. Dunque non posso fare a meno, quando mi domandano delle mie radici, di dire che sono un greco di lingua albanese.
  Forse sarà meglio che io pensi che sia stata una iattura l’essere nato greco albanese, perché soffro a vederle buttate alle ortiche le due mie culture, soprattutto la greca – dimidium animae meae - nella egemonia dell’italiano.
Come si sono buttate alle ortiche? Per esempio col non aver avuto a suo tempo il buon senso di istituire a Lungro piuttosto che un liceo scientifico, uno classico. Essendoci solo quello, gli studenti solo a quello si sarebbero iscritti, e oggi avremmo un buon numero di lettori e di intenditori di greco.
L’essere cresciuti nel culto dei santi cattolici e nel non aver mai sentito nel catechismo i nomi di Basilio, di Crisostomo, del Nisseno, del Nazianzeno ecc …
L’aver sconsideratamente chiuso i seminari e non averli costituiti come collegi o centri di cultura orientale – delle madrase, come i musulmani, insomma, che in quelle allevano gli “hafiz”, i “custodi” della lingua del Profeta. Se avessimo anche noi delle madrase oggi leggeremmo il Nuovo testamento di prima mano.
 Il greco. Avendo insegnato per pigrizia come Skirò Di Maxho in una scuola media stavo per dimenticare la lingua classica che mi hanno lasciato, soprattutto in cuore, i miei avi.
Pensate: la lingua delle feste, la lingua che rendeva speciali le nostre feste, la lingua misteriosa del mistero del sacro. Quando entrai la prima volta in una chiesa latina rimasi sconcertato a non sentire il greco: che funzione era mai quella dei latini? E quando feci una volta la comunione con l’ostia, qualcuno mi spiegò che quella era la comunione di Giuda, il quale aveva mangiato ma non bevuto (si beve solo con gli amici – aveva aggiunto don Fernando Manes che a Lungro era un lenza).
 Eredità greca, che farne? Stavo perdendo il greco - studiato sin dalla prima media, approfondito a Grottaferrata con le lezioni di Padre Ignazio.
Stavo per dimenticare il greco.
Sennonché durante le mie discussioni con don Matrangolo, durate  una trentina di agosti, ogni giorno all’ “ora del caffè”, diceva Lui, siccome Zoti mi faveva citazioni in greco, che qualche volta mi mettevano in imbarazzo, decisi di riprenderne lo studio.
Incominciai con la rilettura del Nuovo Testamento. Per  me era la via più facile, ne conoscevo brani a memoria, soprattutto quelle pericopi delle lettere di Paolo che ripetevo a tutte le messe del mattino in collegio e a tutte le messe cantate (ero molto ricercato nei funerali), essendo la mia la voix d’un ange, come si espresse la moglie del console francese che mi sentì cantare i tropari a Palazzo Venezia a Roma (ci sarà qualcuno a testimoniare per me di questi eventi da quando non c’è più Padre Gabriele che mi prendeva come suo chierichetto a servirgli messa).
 Ripresi, poi, a pregare in greco ogni mattina coi salmi, con la dossologia, a ripetere i tropari della Paráclisis e dell’Akáthistos e a invocare ( lo faccio ancora oggi) lo Spirito, con il Vasilev Uranie.
E il greco cominciò a rifiorire nella mia memoria, così dal Nuovo Testamento potei passare all’Antico, un capitolo ogni giorno (come fa Erri De Luca – ma lui in ebraico) e da lì a Platone.
Alle discussioni con don Matrangolo che durante gli ultimi anni, si erano trasformate in lunghe telefonate notturne (chiamava lui, dunque non c’è dubbio che mi stimasse) alle sue citazioni in greco, potei opporre le mie.
Se ne avessi avuto voglia sarei potuto partire per Atene o Costantinopoli e farmi ordinare qualcosa, ma scoprii che non avevo bisogno di nessuna ordinazione perché col battesimo, col solo battesimo, ero istituito RE, PROFETA E SACERDOTE. Nasceva allora, con l’approvazione di Don Matrangolo (“ma non dirlo in giro”, consigliava la sua prudenza cattolica – ma non escludo che prendesse abilmente in giro le mie alzate d’ingegno), il Christianus sine glossa che sono.
Che vuol dire Christianus sine glossa? Che  posso, senza bisogno di ecumenismo, frequentare tutte le chiese, gli ortodossi, i copti, i valdesi (grandi perseguitati) che sono miei grandi amici intanto perché hanno grandi teologi, davanti ai quali impallidiscono i cattolici, anche il chiacchierone piemontese primo della classe di Bose -  che io scrivo Böse – e poi perché non sono fascisti come Ruini, Bertone,Sepe e compagnia (delle opere) bella, non sono alleati del Mestatore di Arcore e non benedicono il Celeste né i vandeani di Léfevre  …  - anche per questo non frequento più le chiese latine, se non per vedere qualche opera d’arte, e aspetto d’essere ad Acquaformosa per andare a messa.
Ho ripreso il greco, l’eredità che mi hanno lasciato i padri e verso di loro mi son reso responsabile. Così oggi in quella lingua posso leggere Origene, Basilio, il Nisseno, il Nazianzeno, Palamas, e farmi in qualche maniera esperto nella ortodossia onorata nei nostri tempi da personaggi come Evdokimov, Bulgakov, Berdjaev, Sestov, tutti, cristiani ortodossi  laici grandi teologi fuorusciti dalla Russia Sovietica. E posso trovare rispecchiate le mie intuizioni teologiche in Maximos Lavriotis.
 Non è difficile, per chi volesse, riprendere il greco in mano, basta averne una conoscenza di base e comprare libri con testo a fronte per un “aiutino” quando è necessario, e aver voglia di spendere qualche euro per volumi che costano – ma la spesa vale l’impresa : non accumulate ricchezze di questo ordine borghese di cose.
 Il greco, seconda lingua dei nostri padri, come l’italiano di noi figli, ormai integrati, come vuole la tolleranza cattolica.
E tuttavia non posso non segnalare che ad Acquaformosa – non tutto è perso - c’è un gruppo di persone non colte che cantano in greco tutta la Paráklisis senza inciampare, senza storpiare le parole. Ed è per loro, per la loro enfasi che mi ha colpito una parola.
 Cantavano “Alala ta cheili tön asevõn tõn mé proskynounton tén ikona sou tèn septén, tén istoretheisan hypò tou apostolou Lukã ierotatou tèn Odighétrian”.  (Per chi non conosce il greco: “Mute siano le  parole degli empi che non s’inchinano davanti alla tua pura icona  “dipinta”, dal santo Apostolo Luca, l’Odigitria (Colei che indica la strada)”.
Fu un attimo. Un’arricciatura nel canto, un po’ calcata,  di una del coro su “Istoretheisan” che mi fece porre attenzione a quella parola. L’ho tradotta, come tutti,  col participio “dipinta”, ma in italiano  “dipinta” non mantiene la polisemia di “istoretheisan”, la “tradisce”) perché per “dipingere” in greco, e nel greco bizantino, si ricorre a “Zographein” – i pittori d’icone sono chiamati “zographoi”, cioè disegnatori, pittori, di figure umane.  Per mantenere la polisemia del verbo greco avrei dovuto più opportunamente, forse, tradurre “raccontata”, “testimoniata”, tenendo presente che Luca non è solo pittore, zographos, ma anche “storico”, colui che può “testimoniare”.
Al di là dei problemi di metrica che avranno imposto quella parola all’innografo, che cosa egli intendeva con “istorein”?
Se i tropari sono ispirati, come credo (credo che tutti siamo in qualche maniera le antenne di un’ispirazione, di uno Spirito (thisavròs tõn agathõn, tesoro di beni) che soffia, soprattutto se si è poeti, artisti), forse l’ “istoretheisan”  va oltre il semplice “illustrare”, “rappresentare” – “dipingere”, come i più traducono.
 Forse l’innografo voleva fare cenno all’umanizzazione della Theotókos, alla sua appartenenza alla storia? E che cosa ha fatto la Theotókos  (non chiamatela Madonna) se non umanizzare, storicizzare il Logos? E allora? Storicizzare per non creare idoli? Perché non dovremmo noi, allora, storicizzare il rito? Non sostengo nel mio libro sull’icona che bisogna uscire dal canone per non fare copie di copie? Coartare tutto alle esigenze del tempo?  Solo gli eidola sono immoti. Anche il rito è un rappresentare, uno storicizzare, un raccontare misteri, un al di là che si affaccia, si mostra, si racconta  di qua, come allora non storicizzarlo?
Mi risuonava nella memoria anche un detto niciano che suona più o meno così: lo stare immoti è un peccato contro lo Spirito Santo.
Rimasi nel tormento ritrovandomi – in un ruolo che non vorrei sostenere - un laudator temporis acti, un idolatra quale non voglio essere, e non sono  – idolatra del passato, come un lefevriano, un vandeano, un ciellino, un integralista, un fascista che eleva tutto a idolo tartufesco: “Dio, Patria, Famiglia”, manganello da dare in testa a chiunque si metta nella scia dello Spirito.
  Mi soccorsero due letture, un luogo di S. Agostino che ho citato altre volte dove il santo di Tagaste dice che la vera preghiera che conviene a Dio è un tereteretere senza senso, per cui il nostro greco incomprensibile, poteva essere quel tereteretere, un significante senza significato, o dal significato “misterioso”, con l’aura del sacro come un mantra – le donne di Acquaformosa che cantano la Paráklisis senza capirla; l’altra lettura, un luogo di Vattimo dove il filosofo nichilista calabro piemontese sostiene che le cose sacre andrebbero dette in lingue antiche, proprio per tenere il sacro lontano dalla lingua di tutti i giorni – se poi pensiamo che la lingua di tutti i giorni è quella usurata dei media, se poi pensiamo che la musica è quella che ci entra in casa con i jingle commerciali, allora latino, greco, canto gregoriano e canto bizantino dei monasteri ben vengano a risollevarci dal deserto in cui ci hanno costretti gli illuminismi di ogni genere che hanno scorticato la terra delle divine presenze.
 Certo, ho scritto contro la messa latina celebrata a Rivarolo dai fascisti e dalla conventicola dei lefevriani e dei cavalieri di Malta in bardatura similcrociata. Ma quel latino non aveva niente a che fare con il sacro. Era una mazza “cattolica” da dare in testa a coloro i quali preferiscono l’italiano e quindi secondo il sentire dei fascisti, cattolici non sono. Il latino qui assumeva una indebita valenza politica. Si tenga poi presente che il latino è la lingua ufficiale della chiesa romana, dunque una messa latina in Vaticano ci sta tutta, non a Rivarolo.
 Ora siccome da noi la messa si celebra in greco da cinquecento anni e ci è entrata nel sangue come seconda lingua, e siccome non si è mai compromessa né con la politica né con finalità commerciali, allora a rappresentare quel sacro, di cui parla il nichilista Vattimo, ci sta tutta.

Perché metto l’accento sul nichilismo di Vattimo al quale  sembra niente il sacro? Ma proprio perché il suo discorso non è orientato a sottolineare una sostanzialità del sacro. Sottolinea piuttosto una presa di responsabilità dei soggetti nei riguardi della nullità delle cose. Forse proprio perché le cose sono transeunti bisogna prendersi la responsabilità di non lasciarle andare: andiamo semmai noi con loro, che le cose finiscano quando finiamo noi. E noi col greco in cuore non siamo ancora trapassati, perché allora anticipare l’oltrepassamento del greco?
 Non buttiamo le perle ai porci? Buttare il greco? In cambio di che? Di Italiano e arbëresh? Perché no? Storicizziamo la liturgia, ma non traducendo la greca.
Riscriviamone una in italiano o in arbëresh, o in tutt’e due le lingue insieme facendo cenno a quell’ibrido che siamo. Ma tradurre la liturgia greco-bizantina no.
Così manteniamo l’icona e la sua funzione, ma dipingiamone di nostre, secondo che ci detta dentro lo Spirito che spira, che mette in movimento, ma non copiamo Rublëv. Rublëv è intraducibile, c’è quella impossibilità che è rappresentata in filosofia dal “de se nunc”.
 Nessun musulmano si sognerebbe di leggere il Corano in lingua volgare. I musulmani che hanno scuole di Corano sono linguisticamente più avveduti di noi: sanno della impossibilità della traduzione senza un tradimento. L’eco della polisemia linguistica di un “istoretheisan” va persa con la traduzione “dipinta”.
 Così come quando traduciamo Kosmos e Mundus con “Mondo” tout court. “Mondo” è parola totalmente catacresizzata, abusata, usurata, che non dice più il significato di “Mundus” = “netto, pulito, elegante, acconciato e per traslato: Universo, Terra ecc…”. Intendendo “Mundus” o “Kosmos” che ha le stesse valenze semantiche, solo come Terra, Habitat,   mettiamo, come qualcuno ha detto un sasso in bocca al significante e gli vietiamo di significare oltre il significato catacresizzato, abusato e stereotipato, dall’uso comune.
 Con Kosmos, come con “Mundus” non si intende “questo mondo”, “questa terra” in cui viviamo contrapposti a un mondo ultra terreno. Con Kosmos non si intende quel che vediamo, con i sensi, del firmamento (che è lo “stereoma”, lo spazio), ma un modo ordinato secondo figure e schemi matematici, emisferi, coordinate di orientamento  (il Kosmos è un cielo umano, non il disordine di mondi che quel cielo è); o “mundus” un mondo ordinato secondo le leggi dell’imperium - l’ordine fascista, l’ordine capitalistico, l’ordine della divisione in classi, l’ordine dell’esercito schierato in battaglia ecc … Quindi quando Cristo dice che il suo “regno non è di questo mondo”, dobbiamo intendere che non sta parlando di un regno ultraterreno, ma di un “ordine”, “Kosmos, Mundus”, tutto terreno, intendendo: “il mio mondo non è di questo ordine di cose”, il mio ordine è fondato sull’amore dei nemici, sul fare agli altri quello che vogliamo per noi, sul non accumulare ricchezze, sul non scandalizzare i piccoli, sul non pensare che puttane e pubblicani sian da rigettare perché non degni della nostra pulizia (Mundus) del nostro perbenismo piccolo borghese, ecc...
 E così altre parole fondanti l’espressione greca che non è la nostra: si pensi quando in greco si usa la parola Aletheia, che è tradotta e tradita  come “verità”.
È per questo che i miei scritti abbondano di citazioni in greco – che qualcuno ha ritenuto senza logica.
Non voglio togliere a quella lingua la risonanza, l’eco di significati, che l’italiano catacresizza, stereotipizza, secondo le nostre categorie che bloccano il campo semantico che quelle espressioni aprono in greco – o nelle altre lingue in cui cito.
 Ma qui il discorso si farebbe lunghissimo.
 Ricordo che una cosa è parlare arbërisht, e un’altra in italiano. Non riserviamo l’arbëresh a situazioni intime, che non possono essere veicolate da una lingua asettica  come la lingua pubblica italiana? La  lingua pubblica è astratta, appartiene a tutti e a nessuno, ha pretese di “oggettività”, tanto quanto gli idioletti appartengono ai singoli e hanno tutte le sfumature del vissuto, dell’esistenziale, del “soggettivo” – anche del soggettivo che è una comunità.
Così quando canto il Vasilev uranie alla maniera dei miei antichi Ngjosha e Çitri – i quali richiamavano quel tereteretere di Agostino quando cantavano l’alleluia dopo l’Epistola facendolo precedere da un lungo “ailè/leeeà/aileeeee” senza senso -  l’anima si apre su profondità insondabili, dove “naufragar m’è dolce”.
 Io salverò, per me il greco, lo indosserò come monile prezioso lasciatomi in eredità dai miei avi (non mi sognerei mai di usare il rito per dirmi più cristiano di un altro o più ortodosso o più cattolico di un altro) e andrò commuovendomi con quel Platone che quel greco mi ha messo in condizione di intendere: Devr’ektrapómenoi katà ton Ilisòn iomen … - Giriamo di qua e andiamo verso l’Ilisso … dove appunto Socrate (l’illuminista, il razionalista, come si dice) e il suo discepolo Fedro incontreranno divine presenze ….
 Qui il discorso s’arriccia, torna su se stesso come per contraddirsi. Ma non è il discorso, “nella sua goffaggine” che si contraddice, è la realtà che si contraddice, una realtà che solo se è bivalente si contraddice, se è monovalente accoglie in sé la tradizione “che sta” e il suo divenire, il suo storicizzarsi; gli eidola e la loro negazione.

venerdì 25 gennaio 2013

LA VERA CHIESA SIAMO NOI”. IN GRECIA, APPELLO DI ORTODOSSI CONTRO L’ECUMENISMO di Agenzia ADISTA

ATENE-ADISTA. “L’ecumenismo è un’eresia”: questo lo slogan di un appello, che ha già raccolto quasi seimila firme, nato in Grecia ma poi fatto proprio anche da prelati ortodossi di altri Paesi, che invita vescovi e fedeli ad opporsi al dialogo ecumenico ed a mantenere pura e intatta l’Ortodossia, contrastando le pretese di Roma.
L’appello–intitolato Confessione di fede ortodossa – è stato lanciato nell’aprile scorso e, da allora, è partita la raccolta di firme che a metà settembre ha raggiunto circa 5.800 adesioni. Il testo è stato firmato da sei metropoliti greci; ad essi si sono aggiunti un vescovo bulgaro e un vescovo ortodosso degli Stati Uniti d’America. L’hanno inoltre sottoscritto un migliaio di monaci e di sacerdoti, e quasi cinquemila laici.
In Grecia (la terza nazione dell’Ortodossia per importanza numerica, dopo quella russa e quella rumena), ci sono gruppi ortodossi, guidati da vescovi e da monaci, che sostengono che l’ecumenismo – e cioè la ricerca della piena unità tra tutte le Chiese oggi divise – non sia altro che un inganno, una subdola e pericolosa eresia, perché porterebbe a negare che la Chiesa, la vera Chiesa, quella apostolica, già esista nell’Ortodossia, cioè in ciascuna Chiesa ortodossa legata dalla stessa fede e dalla stessa sostanziale Tradizione con le comunità sorelle. Per tale ragione, questi gruppi si oppongono ai dialoghi teologici con Chiese non ortodosse, in particolare con la Chiesa cattolica romana, la quale invece, a livello ufficiale, come più volte hanno sottolineato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, afferma di essere la sola Chiesa ad essere, come proclamato nel Credo, “una, santa, cattolica ed apostolica”.
A rendere la questione problematica in Grecia è il fatto che la piccola minoranza cattolica ellenica da tempo insiste perché siano cambiate alcune normative della legislazione civile e della prassi consolidata che, di fatto, premiano chi è di fede ortodossa e, al contrario, limitano i diritti di chi non lo è e soffocano lo status giuridico delle altre Chiese e religioni. La stragrande maggioranza della popolazione del Paese è ortodossa, e per tale ragione alcuni pensano ‘greco=ortodosso’ e perciò chi prende le distanze dall’Ortodossia le prenda anche dalla patria ellenica. Le richieste dei vescovi cattolici greci affinché sia garantita anche alla Chiesa cattolica piena personalità giuridica, con tutto ciò che ne consegue, sono allora viste – da molti gruppi ortodossi – come manovre per minare l’Ortodossia. Inoltre, a livello popolare, è ancora diffuso in Grecia il risentimento contro i crociati occidentali che nell’aprile del 1204 saccheggiarono Costantinopoli e profanarono le chiese bizantine. In proposito, quasi come “condizione” per poter visitare la Grecia, papa Wojtyla, in un suo discorso ad Atene, dovette esprimere rammarico per le vicende di otto secoli prima (e delle quali, oltre al resto, il papato non era colpevole).
Ufficialmente, il Sinodo della gerarchia ellenica (come quello della Chiesa russa), accetta l’ecumenismo, ma interpretato in modo rigido, sempre ribadendo che è l’Ortodossia la vera Chiesa. E solo dopo molti contrasti il Sinodo accettò (anche per le pressioni del governo greco) che Giovanni Paolo II, nel 2001, visitasse la Grecia; salvo poi, nel 2004,opporsi al viaggio dell’arcivescovo di Atene, Christodoulos, a Roma. Il prelato poté compiere questa visita – la prima di un primate greco in Vaticano – solo due anni dopo, nel dicembre2006. Il successore di Christodoulos Ieronimos II (eletto nel febbraio 2008), cerca ora di muoversi tra le diverse correnti che agitano la Chiesa ortodossa.
Intanto, nonostante il patriarca ecumenico di CostantinopoliBartolomeo I, convinto ecumenista, abbia preso le distanze dall’appello, la raccolta di firme prosegue a pieno ritmo. (luigi sandri)

mercoledì 23 gennaio 2013

Dal sito della Chiesa Ortodossa Russa

Natale di persecuzione per gli ortodossi del Kosovo

Dichiarazione del servizio di comunicazione del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca 

Secondo quanto reso noto dal servizio stampa della diocesi di Raška-Prizren della Chiesa Ortodossa Serba, il 7 gennaio 2013, durante le celebrazioni del Natale, il servizio di polizia dell’auto-proclamatasi “Repubblica del Kosovo” ha fatto irruzione nel monastero di Gračanica. Il vescovo della diocesi di Raška e Prizren Feodosij non era stato preventivamente informato dell’intervento della polizia.
L’imbarazzo, la paura e la confusione che l’azione inaspettata dei poliziotti ha causato tra i credenti sono stati aggravati dall’arresto di diversi cristiani ortodossi, che in quel giorno erano riuniti nel monastero di Gračanica per il servizio di Natale. Alcuni serbi, senza alcuna accusa concreta, sono stati arrestati e portati a Pristina per essere interrogati, dove, secondo uno di loro, sono stati picchiati dalla polizia. La gravità delle lesioni ha richiesto il ricovero in un ospedale locale. Qualunque sia stato lo scopo del raid della polizia, è inammissibile il fatto che esso sia avvenuto durante le celebrazioni della grande festa cristiana tra le mura del monastero, che è uno dei più antichi e importanti centri spirituali e culturali del Kosovo e della Metohija.
È impossibile non rimanere turbati dagli arresti dei credenti ortodossi nel giorno di Natale e dal trattamento disumano verso di loro, tanto più che la polizia fino ad oggi non ha ritenuto necessario motivare pubblicamente l’arresto.
Alla luce di questi fatti è ancor più sconcertante la totale passività manifestata dalla polizia della “Repubblica del Kosovo” a Djakovica, dove il 6 gennaio 2013 un gruppo di appartenenti al movimento albanese “Autodeterminazione” ha bloccato le vie di accesso al monastero ortodosso della Dormizione della Beata Vergine Maria, impedendo così ai fedeli di partecipare alla funzione.
Nell’esprimere solidarietà ai fratelli ortodossi, vittime di tali gravi oppressioni durante la grande festa della Natività di Cristo, riteniamo indispensabile che al vescovo di Raška-Prizren Feodosij e alla madre superiora del monastero di Gračanica siano presentate le scuse ufficiali della polizia per le azioni scorrette dei suoi uomini e ai mezzi di informazione siano fornite esaurienti spiegazioni dell’accaduto.
L’incidente ha dimostrato ancora una volta il disprezzo profondo delle autorità della non riconosciuta repubblica verso le tradizioni religiose della minoranza serba, così come la riluttanza a rispettare e proteggere i diritti dei cristiani ortodossi che vivono in Kosovo e Metohija.

martedì 22 gennaio 2013

Missa Brevis a Lungro - di Nando Elmo

Ma insomma che fate? una messa Bizantina adattata alle esigenze della TV e del pubblico latino? e per adattarla che fate? d'un colpo tagliate l' "o monoghenis" che è il primo "credo" che apre la liturgia, il riassunto dei vangeli, il primo approccio teologico alla liturgia che dichiara le due nature di Cristo, la sua incarnazione la sua apparteneza alla Trinità. Capisco che poi si reciterà il Pistevo. Ma questo credo introduttivo vi pare di poco conto?
Questa "messa in riassunto" sembra non solo a me ma anche a Zef Skirò di Maxho puro folclore. E non posso non dare ragione al mio amico. Che è questo abbassamento del livello mentale?  Infatti pare che le esigenze del rito e dell'anima passino in secondo piano rispetto al folclore e alle esigenze commerciali della TV. D'altra parte mi domando che bisogno avete di vestirvi con i paramenti tradizionali se poi mandate a quel paese il "rite patrum". Gli antichi eramo molto attenti alla precisione del rito, alla precisione delle parole e alla giusta "quantità" e "qualità" delle parole e dei gesti. Da dove allora questa Missa Brevis, se volete vivere e pregare "more Patrum"?
Non sono un laudator temporis acti . Anzi credo come S. Paolo che le cose che sono dietro vadano lasciate per guardare avanti (ta men opiso epilanthanomenos - Eph. 3,13). D'altra parte la liturgia è uno strumento creato dagli uomini e come tale è soggetta all'usura del tempo. Lo Spirito soffia sempre altrove anche perché teologicamente il passato è il peccato, il futuro la redenzione. E tuttavia mi domando perché mutilare l'antica liturgia?
Se proprio è necessaria una Missa Brevis, per sopperire alle necessità umane troppo umane (quelle che nell'inno cherubico dite che bisogna lasciare fuori dalla chiesa  -pasan tin viotikin apothometha merimnan) allora che si riusnisca la commissione di teologi e liturgisti della diocesi (ce ne saranno, no?) e ne scriva una nuova secondo quelle esigenze (la pluralità linguistica, p. e., ), facendo in modo che si esca dalla chiesa il più presto possibile, di modo che uno vada ad accudire la fidanzata, l'altra il marito, altro vada a lavarsi la macchina, l'altro abbia il tempo di comprarsi le sigarette, l'altro vada a bersi l'aperitivo ecc ... e che la si scriva con le parole della televisione, del comico di arcore, di sanremo con un corteo di chitarrosi, di monti di pippo baudo. io che sono un antilluminista sento messa solo in greco e non m'importa se dura due ore: son lì solo per questo e metto tra parentesi, almeno la domenica, il Giorno del Signore, le preoccupazioni mandane. Come quando  si va all'opera che dura anche tre quattro e cinque ore (Wagner) e non mi preoocupo del tempo che passa. Sono lì per l'opera. E se il tempo dell'opera non mi preoccupa perché dovrebbe preoccuparmi il tempo della messa. Se mi preoccupa, ho solo da non andarci. E non mi preoccupo di non capire il greco (ma lo capisco). Il greco mi restituisce l'aura del sacro, di quel sacro scorticato da tutte le sante presenze (alberi, animali, rocce ecc..) dallo'illuminismo.
Certo Dio non ha bisogno di essere pregato in greco. Da qualche parte dice S. Agostino che la preghiera dovrebbe risolversi in un incompresibile tereteretere cantato in "ortodoxia" (giusto modo di rendere Gloria). Non dobbiamo fare come i pagani, che friggono dalla voglia di farsi vedere in Televisione, e di far capire chiaramente quali sono le loro richieste e soprattutto di dimostrare come i fasciti di Rivarolo Cnavese che essi sì che sono Cattolici - cristiani magari no, ma cattolici sì (cattolici di Ruini, p.e.).
Ma se all'antico ci tenete, che sia integro. E sia in greco come usavano i nostri antichi e chi c'è c'è. Insomma levatevi dal folklore, dal "vedete quanto siam belli" e come ci teniamo alla tradizione.
Anche quelle ragazzine vestite in costume e i ragazzini improbalili euzones, quanta tenerezza, stringevano il cuore per un' impossibile reviviscenza della tradizione che nessuno sa più interpretare.
Sono, sia chiaro per le piccole patrie, ma piccole, nei loro confini. E allora perché adulterarle?Sappiamo le rinunce che ciò comporta (poca visibilita, come si dice, eccetera)? se sì non sbrachiamoci, per far piacere a questo e a quest'altro.
Anche perché il comandamento è : "si dhe otan prosevchi, isilthe is to tamion su, kje klisas tin thiran, prosevkse toj Patrì su toj en toj kryptò - Kur do të parkalesish ec ket kamarja jote e shtiri qiçin derës e parcales Atin tënd  fsheftaz - cum oraveris intra in cubiculum tuum et clauso ostio, ora Patrem tuum. Gesù sembra ricalcare l'antico detto: Lathe Biosas - Jetò i fshefur - vivi nascosto. Altro che televisione e Messa alla Televisione: che bisogno avete di fare spettacolo?
D'altra parte ancora, nel  abbreviare la messa per qualunque necessità (Biotikin apothometha merimnan) c'è come un vizio logico argomentativo della "non causa pro causa".
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Giovanni Zoti Kapparelli:
 Scusate se mi intrometto: ma cosa significa per voi "fare ecumenismo"? Se gli italo-albanesi oramai ancorati al vascello del Vaticano da secoli, quindi CATTOLICI LATINI a tutti gli effetti, solamente perchè hanno un rito diverso dovrebbero essere da cartina da tornasole per che cosa??? Quando le realtà ortodosse non esistevano, allora Roma per far vedere che nel suo seno aveva anche 'RITI' diversi e surrogati di ortodossia, mostrava i bravi preti greco-cattolici agli altri perchè sembrassero ciò che non erano, non sono e non lo saranno mai. Questa non è polemica, ma semplicemente una verità nascosta ai più ed al popolo che della Fede degli Avi non ricorda nulla e che nessuno mai spiegherà. Se la Rai fosse stata intelligente, invece di mandare in onda un rito, una cerimonia a dir poco folkloristica, avrebbe fatto bene a cercare una Parrocchia vera Ortodossa dove la celebrazione della Divina Liturgia è insita nel patrimonio genetico di quella confessione. Ma considerato che anche la Rai è succube dello stato oltre Tevere cosa ci saremmo dovuto aspettare??????? FOLKLORE e nulla più. Questa sera vicino la mia Parrocchia a Castrovillari un signore mi chiedeva perchè non ci fossi anchio in quella trasmissione. Ho dovuto spiegare che la diocesi di Lungro con tutti i suoi preti ha la Liturgia, come quella Ortodossa ma loro non sono ortodossi. I preti sono vestiti come gli ortodossi ma non sono ortodossi, le chiese sono decorate come quelle ortodosse ma non sono ortodosse.
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Nando Elmo:
Caro cugino Giovanni Zoti Kapparelli qui il discorso non richiede solo lo spazio di un post di Fb. spero di poterlo fare con comodo più in là. Intanto ricordo che quando don Matrangolo si diceva bizantino io gli rimandavo che era un tomista cattolico romano e per di più pacelliano. Una volta gli portai il mio grosso volume degli scritti di Palamas con la sua polemica con barlaam e lui mi disse di aver fatto delle lezioni all'università di Bari sul santo teologo e io gli rimandai: e allora? i miei discorsi lo sconcertavano e si cambiava discorso. trovo giusta la considerazione di Da Pra. Io che sono un cristianus sine glossa posso dirle queste cose con distacco e considerare che l'unità dei cristiani, che sono già uniti in Cristo, è solo una questione politica, è una questione di "Verità" posseduta e usata come martello da dare in testa a questo e a quest'altro, senza "Carità". se, come dice il nostro Vattimo, tra i cristiani vigesse al posto della Vertà la Carità, Charitas l'Agape, l'ecumenismo sarebbe una parola priva di seno. Come per me. L'ecumenismo è una questione di figli di Zebedeo: chi sarà il primo nel tuo regno? Considera poi che la gerarchia cattolica è costituita tutta invece che da santi (osioi) da professori universitari dogmatici e dunque da primi della classe.

domenica 20 gennaio 2013

Vespro (Vecernie), Divina Liturgia e Benedizione delle Acque della Santa Theofania 2013


 Ospiti d'onore durante il Vespro del sabato 19 gennaio, 
questo gruppo di fratelli ortodossi di Reggio Calabria 
con il Rev. Padre Elia parroco della Chiesa (Patriarcato di Costantinopoli)
 di Seminara (RC). Con loro abbiamo celebrato il Vespro.
 
 
Divina Liturgia della Santa Theofania del Signore






Benedizione delle Acque






domenica 13 gennaio 2013

Abbiamo spostato per domenica la celebrazione delle ufficiature della Santa Epifania di N.S.G.C. per motivi pratici.

 
  20 Gennaio 2013
Battesimo di Nostro Signore Gesù Cristo
 
Святое Богоявление
 Крещение Господа Бога и Спаса нашего Иисуса Христа. 
 
 
Chiesa Ortodossa 
 Patriarcato di Mosca
Parrocchia
San Giovanni di Kronstadt
Palazzo Gallo - P.zza Vittorio Em. II 
(di fronte la pizzeria da Armando -
seguendo Corso Garibaldi a destra)
Castrovillari (cs)


 
19  Gennaio  2013
Considerando il fatto che i nostri fedeli 
nei giorni feriali sono impegnati con il 
lavoro, abbiamo deciso di spostare la
 celebrazione della Festa dell'Epifania
 e della benedizione dell'acqua il giorno
 dopo, cioè la domenica.


Prima Antifona:
Во исходе Израилеве от Египта, дому Иаковля из людей варвар.                                                                       Молитвами Богородицы, Спасе, спаси нас.
Бысть Иудеа святыня Его, Израиль область Его. Молитвами Богородицы, Спасе, спаси нас.
Море виде и побеже, Иордан возвратися вспять. Молитвами Богородицы, Спасе, спаси нас.
Что ти есть море, яко побегло еси, и тебе Иордане, яко возвратился еси вспять?                                           Молитвами Богородицы, Спасе, спаси нас.
Слава Отцу, и Сыну, и Святому Духу.
И ныне и присно и во веки веков. Аминь.
Молитвами Богородицы, Спасе, спаси нас.
Seconda Antifona:
Возлюбих, яко услышит Господь глас моления моего. Спаси ны, Сыне Божий, во Иордане крестивыйся, поющия Ти: Аллилуиа.
Яко приклони ухо Свое мне, и во дни моя призову.     Спаси ны, Сыне Божий, во Иордане крестивыйся, поющия Ти: Аллилуиа.
Объяша мя болезни смертныя, беды адовы обретоша мя, скорбь и болезнь обретох, и имя Господне призвах.     Спаси ны, Сыне Божий, во Иордане крестивыйся, поющия Ти: Аллилуиа.
Милостив Господь и праведен, и Бог наш милует.       Спаси ны, Сыне Божий, во Иордане крестивыйся, поющия Ти: Аллилуиа.
Слава Отцу, и Сыну, и Святому Духу.
И ныне и присно и во веки веков. Аминь.
Единородный Сыне, и Слове Божий, безсмертен Сый, и изволивый спасения нашего ради воплотиться от святыя Богородицы и Приснодевы Марии, непреложно вочеловечивыйся, распныйся же Христе Боже, смертию смерть поправ, Един сый Святыя Троицы, спрославляемый Отцу и Святому Духу, спаси нас.
Terza Antifona:
Исповедайтеся Господеви, яко благ, яко в век милость Его.   
Во Иoрдане крещающуся Тебе Господи, Троическое явися поклонение: Родителев бо глас свидетельствоваше Тебе, возлюбленнаго Тя Сына именуя: и Дух в виде голубине, извествоваше словесе утверждение, явлейся Христе Боже, и мир просвещей слава Тебе.
Да речет убо дом Израилев: яко благ, яко в век милость Его.                                                                                                     Во Иoрдане крещающуся Тебе Господи, Троическое явися поклонение: Родителев бо глас свидетельствоваше Тебе, возлюбленнаго Тя Сына именуя: и Дух в виде голубине, извествоваше словесе утверждение, явлейся Христе Боже, и мир просвещей слава Тебе.
Да речет убо дом Ааронь: яко благ, яко в век милость Его.                                                                            Во Иoрдане крещающуся Тебе Господи, Троическое явися поклонение: Родителев бо глас свидетельствоваше Тебе, возлюбленнаго Тя Сына именуя: и Дух в виде голубине, извествоваше словесе утверждение, явлейся Христе Боже, и мир просвещей слава Тебе.
Да рекут убо вси боящиися Господа: яко благ, яко в век милость Его.                                                                            Во Иoрдане крещающуся Тебе Господи, Троическое явися поклонение: Родителев бо глас свидетельствоваше Тебе, возлюбленнаго Тя Сына именуя: и Дух в виде голубине, извествоваше словесе утверждение, явлейся Христе Боже, и мир просвещей слава Тебе.

Entrata con il Vangelo:
Благословен Грядый во Имя Господне, благословихом вы из дому Господня: Бог Господь, и явися нам.
Tropari:
Во Иoрдане крещающуся Тебе Господи, Троическое явися поклонение: Родителев бо глас свидетельствоваше Тебе, возлюбленнаго Тя Сына именуя: и Дух в виде голубине, извествоваше словесе утверждение, явлейся Христе Боже, и мир просвещей слава Тебе.
Слава Отцу, и Сыну, и Святому Духу.
И ныне и присно и во веки веков. Аминь.
Явился еси днесь вселенней, и свет Твой, Господи, знаменася на нас, в разуме поющих Тя: пришел еси и явился еси, Свет Неприступный.
Трисвятого:
Елицы во Христа крестистеся, во Христа облекостеся  Аллилуиа  (3 volte)
Слава Отцу, и Сыну, и Святому Духу.
И ныне и присно и во веки веков. Аминь.
Bо Христа облекостеся Аллилуиа
Елицы во Христа крестистеся, во Христа облекостеся  Аллилуиа
Задостойник: (Megalinario)
Величай, душе моя, Честнейшую горних воинств Деву Пречистую Богородицу. Недоумеет всяк язык благохвалити по достоянию, изумевает же ум и премирный пети Тя, Богородице; обаче, благая сущи, веру приими, ибо любовь веси Божественную нашу: Ты бо христиан еси предстательница, Тя величаем.
Kinonikon:
Спаси ны, Сыне Божий, во Иордане крестивыйся, поющия Ти: Аллилуиа.


 
Orario Ufficiature 

Sabato 19 - Ore 17,30: Grandi Ore e Vespro (Vecernie)

Domenica 20 - Ore 10.00 : Divina Liturgia e benedizione dell'acqua



  Carissimi Fedeli Ortodossi di 
Castrovillari e del circondario, 
carissimi Arbëreshë  dei paesi viciniori,
(San Basile - Frascineto - Ejanina - Civita)
 come sempre vi aspetto numerosissimi,
 per celebrare con Voi le Ufficiature 
della Vostra Chiesa e della Vostra
 Santa Tradizione Ortodossa.
Per qualsiasi informazione chiamate
 il Parroco al: 3280140556