sabato 18 luglio 2009

Gjaku shprisht

Një gjakë...

një gjuhë...
një dhe...

një rrënjë...

një fjamurë...

një Besë !

W le vacanze!!!!

CHIESA ORTODOSSA ARBRESHE
PATRIARCATO DI MOSCA

La Parrocchia Ortodossa di
'San Giovanni di kronstadt' a Castrovillari (cs),
la Cappella Ortodossa di
'Santa Caterina Megalomartire' ad Acquaformosa (cs)
AUGURANO
a tutti i fedeli ortodossi
BUONE VACANZE !

mercoledì 15 luglio 2009

Dove si radunavano i primi cristiani?

Questo articolo preso da Zenit, il quotidiano online del Vaticano, spiega con accuratezza dove i primi cristiani convertiti da San Paolo si riunivano. Ma non soltanto quelli convertiti da San Paolo, probabilmente anche tutti i cristiani che abbracciavano il nuovo credo.Quindi se noi ad Acquaformosa celebriamo la Divina Liturgia in una cucina, non avendo altro per le mani, non facciamo altro che solcare le orme di questi primi pionieri affamati della verità su Cristo. L'ortodossia nei paesi italo-albanesi, riprende a vivere dopo secoli di sonno profondo. Ma questo non per colpa del popolo, ma semplicemente perchè chi doveva dichiarare e raccontare la storia in forma di VERITA', non l'ha mai fatta. Il nostro popolo finalmente vede in lontananza uno spiraglio di luce, non bisogna far altro che seguire quasta luce e si arriverà a comprendere oltre quattro secoli di bugie. Il cammino è irto di pericoli, di fantasmi passati, di incomprensioni, di bugie ed altro, ma l'orgoglio di essere abresh, vincerà sututto e su tutti.
(P. Giovanni Capparelli)

James Dunn spiega la struttura delle comunità cristiane al tempo di Paolo.
ROMA, martedì, 14 luglio 2009 (ZENIT.org).
-Riportiamo di seguito una intervista apparsa sul tredicesimo numero di Paulus (luglio 2009), dedicato al tema “Paolo l’architetto”.
* * *
James Dunn è attualmente uno degli esponenti di maggior spicco degli studi su san Paolo, nonché fondatore della corrente di studi detta “New Perspective”, termine da lui stesso coniato nel 1983. L’approccio alle Lettere e alla vita dell’Apostolo proposto dalla New Perspective rilegge in modo positivo il rapporto tra Paolo e il giudaismo, colto come preziosa eredità che egli non rigetta ma, anzi, ripropone, allacciandosi all’apertura universale e inclusiva tipica della tradizione profetica d’Israele. Abbiamo incontrato il professor Dunn ad Ariccia, in occasione dell’International Seminar on Saint Paul, per confrontarci in merito all’ecclesiologia dell’Apostolo.
Professor Dunn, ci aiuti a capire “l’architettura comunitaria” del cristianesimo delle origini.
«Probabilmente non è necessario far notare che, quando Paolo parla dei credenti corinzi che “si radunano in chiesa” (1Cor 11,18: en te ekklesía) non s’intendeva la “chiesa” come edificio, ma piuttosto come persone che si radunavano per essere chiesa, come chiesa [giustamente la traduzione CEI e la Nuovissima Versione traducono qui ekklesía con “assemblea”, NdR]. Considerate le connotazioni che più tardi sono venute ad accompagnarsi a “chiesa” (= “edificio”), potrebbe creare meno confusione usare parole come “adunanza”, “riunione”, “incontro”, “assemblea”. Detto ciò, è importante chiedersi: dove si radunavano i primi credenti nelle città della missione egea? E di che sistemazione facevano uso? Apriamo una parentesi: poiché la missione paolina cominciava, di solito, dalle sinagoghe della città in cui l’Apostolo era entrato, è utile notare quanto sappiamo sulle sinagoghe del I secolo nella diaspora occidentale. L’archeologia ha riportato alla luce diversi edifici sinagogali di quest’epoca in Italia, in Grecia e nell’Asia Minore, per esempio, a Ostia, il porto di Roma; a Stobi, in Macedonia; nell’isola egea di Delo; e a Priene, tra Efeso e Mileto. In molti casi, dove vi era una comunità giudaica significativa, venivano allestite come sinagoghe alcune case private».
Quindi anche i primi cristiani, quando si allontanarono dalla sinagoga, cominciarono a incontrarsi presso case private?
«L’archeologia non ha riportato alla luce alcuna struttura identificabile come “chiesa” e databile con sicurezza prima di un secolo o più dopo Paolo. Così dobbiamo supporre che i primi cristiani s’incontrassero o in case private o in locali più grandi, presi in affitto per l’occasione. Nessuna delle nostre fonti indica che la seconda alternativa sia la più realistica: il costo di una prenotazione sarebbe stato di là delle possibilità economiche dei primi piccoli gruppi di credenti. Inoltre, è difficile che le associazioni locali gradissero la presenza di “concorrenza” nei propri ambienti: difficile, ad esempio, che la proprietà di un tempio favorisse un raduno cristiano. La sola, ovvia conclusione è che i primi credenti s’incontrassero come “chiesa” nelle case l’uno dell’altro; e che il membro più ricco e la casa più grande fornissero un luogo regolare per l’incontro della “chiesa intera”, suddivisa in diverse “sotto-comunità”. Questa deduzione è confermata da vari riferimenti alle chiese domestiche presenti nelle lettere di Paolo e dal fatto che l’Apostolo si riferisce a Gaio come “ospite di tutta la comunità [ekklesía]” (Rm 16,23)».
L’archeologia fornisce qualche dato interessante in merito a queste abitazioni?
«Fortunatamente i siti di Ostia, Corinto ed Efeso ci hanno lasciato testimonianze significative, su cui si sta ancora lavorando, che ci forniscono una buona idea delle diverse tipologie di alloggi. L’attenzione degli studiosi è caduta per lo più sulle proprietà dei più agiati, che occupavano la maggior parte di un piccolo isolato all’interno di una rete di strade. Ma in alcuni luoghi – in particolare a Ostia – le rovine si estendono sopra il livello del primo piano e ci forniscono un’immagine migliore di quelli che dovevano essere piccoli appartamenti, o di una sola stanza, nei caseggiati popolari. Nicholas Purcell, nel suo articolo in The Oxford Classical Dictionary, riassume così la situazione: “Nel periodo imperiale, i caseggiati popolari a più piani, che solitamente erano conosciuti con il nome di insulae, davano alloggio a tutta la popolazione, eccettuata una minuscola frazione da Roma e da altre grandi città. Non tutte queste sistemazioni erano di bassa qualità; alcune erano situate in aree piacevoli, alcuni cenacula (appartamenti) erano sufficientemente grandi, quelli ai piani inferiori non erano scomodi... e molte persone di uno status sociale abbastanza elevato non potevano permettersi di meglio”».
Da quanto ci dice, si deve ipotizzare un contesto non particolarmente agiato e nemmeno molto ampio. Questa deduzione è corretta?
«Sì. Poiché la maggior parte dei gruppi di convertiti erano – probabilmente – di bassa estrazione sociale, privi d’istruzione e quindi d’influenza (cfr. 1Cor 1,26), dobbiamo supporre che si trovassero all’estremità inferiore della scala sociale. In altre parole, se le osservazioni di Purcell sono corrette, la maggior parte di loro viveva in caseggiati popolari, forse di diversi piani sopra il terreno. Possiamo presumere che alcuni raduni avessero luogo in questi “appartamenti”, o almeno in quelli più grandi, e vicini al livello della strada. Una “chiesa”, in una simile “casa”, era un piccolo gruppo composto fino a un massimo di dodici persone. Tuttavia, poiché la parola “casa” porta inevitabilmente con sé la connotazione di una proprietà più grande, sarebbe meglio fare riferimento a questi gruppi-cellule come a “chiese- appartamento”. Di nuovo, se Purcell ha ragione, anche i relativamente agiati Aquila e Priscilla non avrebbero potuto permettersi più di un appartamento abbastanza grande, al piano terra, all’interno di un isolato ampio. E la casa di Filemone a Colosse poteva ospitare un certo numero di ospiti, oltre ad alcuni schiavi. Forse, in alcuni casi, è possibile immaginare i cristiani che si radunano dentro abitazioni più spaziose, complete di atrium e sala da pranzo (triclinium), ipotizzando assemblee più grandi, ma “quanto” più grandi è questione dibattuta: le stime migliori arrivano a cinquanta persone».
In questo caso, come potevano radunarsi tutti insieme in una abitazione privata?
«S’ipotizza che, quando la chiesa si radunava per il pasto comune, non tutti fossero ospitati nel triclinium: un fatto che ci aiuterebbe a capire la sistemazione insoddisfacente che Paolo lamenta alla chiesa di Corinto (cfr. 1Cor 11,17-22.33s.). Comunque, le chiese domestiche più antiche dovevano essere abbastanza piccole... potevano ospitare dodici o venti persone. E anche quando “tutta la comunità-chiesa” presente in una città o in un quartiere riusciva a incontrarsi in un solo luogo, il numero dei presenti non doveva superare i quaranta-cinquanta, radunati non necessariamente in una singola stanza. Le dinamiche della vita ecclesiale, quindi, erano determinate anche dallo spazio fisico nel quale i cristiani potevano incontrarsi come chiesa. Ricordiamo che le dinamiche sociali dei piccoli gruppi sono molto diverse da quelle di assemblee con centinaia o persino migliaia di partecipanti come avviene oggi. Pertanto anche la teologia che li accompagna tiene conto di questi fattori molto più di quanto non avvenga di solito. Oggi ci dovremmo preoccupare non tanto che le nostre chiese-comunità sono troppo piccole, ma che sono troppo grandi!».
Colpisce il fatto che Paolo, parlando della Chiesa, utilizzi un’immagine significativa come quella del “corpo” di Cristo (Rm 12,5; 1Cor 12,12.27): dunque qualcosa di vivo, non solo un tempio o un edificio. Secondo lei qual è la portata di questa metafora?
«La metafora del corpo è l’espressione vitale dell’unità di una comunità, nonostante la diversità dei suoi membri. L’immagine della città o dello Stato come un corpo – noi inglesi usiamo ancora l’espressione body politic – era già familiare alla filosofia politica del tempo. L’esempio più conosciuto è il famoso apologo di Menenio Agrippa, a noi riportato da Livio e da Epitteto: il punto essenziale affermatovi è che plebe e patrizi non possono smettere di cooperare gli uni con gli altri. Sarebbe come se gli arti di un corpo rifiutassero di cooperare con l’insieme... i risultati sarebbero disastrosi per entrambi! L’esposizione di Paolo in 1Cor 12,14-26 rievoca le preoccupazioni di quell’apologo. Anche l’assemblea cristiana è un corpo, come lo Stato: funziona solo se i diversi membri agiscono in armoniosa interdipendenza. C’è, però, una significativa differenza rispetto allo Stato: il suo tratto distintivo e identificativo è il fatto di essere corpo di Cristo. Paolo, in altri termini, sposta l’accento all’interno della metafora: l’immagine corporativa della comunità cristiana non è più lo Stato nazionale (l’Israele storico), ma l’assemblea cittadina. L’identità dell’assemblea cristiana come “corpo” non è data dalla collocazione geografica o dalla lealtà politica né da razza, posizione sociale o genere. Essa si fonda nella comune fedeltà a Cristo, espressa visibilmente – non da ultimo – dal battesimo nel suo nome e dalla condivisione sacramentale del suo corpo».
Giacomo Perego

venerdì 3 luglio 2009

Nel ricordo delle nostre radici: LOGO della nostra Chiesa Arbreshe



Non dimentichiamo che i nostri Avi, giunti nel medidione d'Italia, portarono con loro poche cose, ma le principali, le piu' importanti e le piu' ricche di storia, cultura e religiosità sono e saranno: La Fede (Besa), la Libertà (Liria) e la Bandiera (Flamuri) in ricordo delle Radici Culturali e Religiose.

sabato 20 giugno 2009

Pubblichiamo la pregevole risposta del Prof. G. Dorangricchia

Carissimo padre Giovanni,
grazie per aver risposto al mio commento in maniera così ampia.
Da storico, devo dire che le lugubrazioni storiche di Fortino e dei suoi alleati, circa la venuta in Italia di gruppi di persone seguite da clero fedele ai dettami del concilio di Fierenze, è una bufala enorme, una bufala, che serve soltanto ad impinguare le loro pagine ed il loro asservimento a Roma. Siamo d'accordo che gli Albanesi venuti in Italia erano Ortodossi.
Non ci può essere via di scampo a questa affermazione vera e giusta, scientificamente storica ed altrettanto parlando di ecclesiologia.
Trattando la questione da un altro punto di vista, il termine uniatismo non si può accollare così facilmente a questo popolo. Si perchè il termine uniata, dispregiativo i ntrodotto dalle masnade greche, si affibia a quelle chiese, le quali una volta ortodosse, hanno abiurato l'ortodossia e SOTTOSCRITTO un atto di unione con Roma.
Orbene, questo atto di unione non esiste in nessun archivio nè pubblico nè privato. De facto gli arbereshe sono uniati, ma de iure no. Difatto sono oggi non parte della Chiesa Cattolica, ma dei TOLLERATI.
Ed è questo che i nostri preti non riescono a capire, si professano cattolici non vedendo che sono solo dei tollerati. e questo atteggiamento è sempre stato vivo nelle popolazioni, accanto alle quali gli albanesi hanno preso dimora. Altro che capitoli di fondazione favorevoli!!!
No la storia deve dire sempre il vero, e deve saper distinguere tra il mito e la verità storica. Spero di poter continuare a disquisire con lei. Grazie.
Professor. Giorgio Dorangricchia
20 giugno 2009 13.55

venerdì 19 giugno 2009

Risposta al Prof. Giorgio Dorangricchia


Ho letto l'articolo su Liria circa la Chiesa Uniata Albanese. Da storico, laureato in storia ed insegnante di storia al Liceo, devo dirle e da arbereshe, che mi vergognerei a pubblicare un articolo come quello. Non ha ne capo nè coda. Possiede errori (Blu) di date, di nomi. Se vuole fare polemica, come vedo, la faccia come documenti storici, non con fantasie.
Giorgio Dorangricchia, professore di storia e filosofia a Palermo


Esimio Professore Giorgio Dorangricchia:

grazie per aver postato ed espresso il Suo pensiero sull'articolo della Chiesa Uniata Arbreshe. Intanto la nostra gente non ha mai saputo di essere una Chiesa come la si intende oggi e questo Lei lo sa benissimo. I nostri Avi hanno cercato nel loro piccolo, ed in alcuni casi ci sono riusciti, di salvare con la loro cultura, il loro pensiero, con la loro testardaggine, ciò che la confessione dominante gli ha permesso di sottrarre all’oblio. Io Le chiedo fraternamente: ma quando questi Avi arrivarono in Italia (?) quale è stata la principale preoccupazione di quei ‘poverissimi disgraziati’? Se Lei possiede una macchina del tempo e può andare a ritroso, come in quel famoso film americano (Ritorno al futuro, se non erro), ci spieghi come vivevano, come erano trattati dai Signorotti locali e dalla Chiesa latina, come svolgevano la loro vita quotidiana, come riuscivano a mantenere la loro famiglia; spieghi a noi tutti, con documenti alla mano, se sapevano scrivere e quanti scritti hanno lasciato a noi posteri; insomma in poche parole, da storico e laureato in storia, metta sul tavolo, con storicità accertata, il vivere e l’esistere di questi sventurati.Tornando a noi, Lei, come Le dicevo prima, ha documenti che affrontano la problematica della sussistenza storica accertata di una Chiesa Uniata Arbreshe, in cui si evidenzia che il nostro popolo ha abiurato all’ortodossia ed è quindi diventato tutto di colpo una Chiesa Latina? Lei sa molto bene che la stragrande maggioranza dei nostri Avi era di confessione Ortodossa, altrimenti non si potrebbe spiegare la Liturgia Ortodossa, greca, nei nostri paesi. L’uniatismo, sono concorde con Lei, è venuto dopo, grazie, come io sostengo e nessuno ancora mi ha sbugiardato, all’annessione forzata alla Chiesa di Roma.Bene diciamo che è un articolo che non bisognava pubblicare in quanto ci sono errori segnati con il blu e per fortuna non con il rosso, ma se Lei si è permesso di criticare aspramente ciò, è perché qualcosa di vero in questo articolo c’è, e fa anche paura. Qualcosa che gli altri, leggi le nuove generazioni, non devono assolutamente sapere, perché se qualcuno comincia a pensare e studiare, allora tutto quello che è stato scritto è da buttare alle ortiche.Caro Professore: qualcosa sta cambiando, e ricercatori, a cui bisogna inchinarsi “Vittorio Elmo, Costantino Marco, Matteo Mandalà, solo per fare alcuni nomi, spero che anche il Suo domani possa essere citato) ci dicono che la storiella che ci hanno fatto bere che ci hanno voluto bene, ci hanno amato a prima vista, ci hanno coccolato come pargoli ecc. ecc., inizia a fare acqua da tutte le parti.Quel castello di sabbia che è stato costruito in riva al mare, inizia a scricchiolare ed i flutti già lo stanno facendo cadere… pezzo per pezzo. La storia, come Lei insegna ai suoi alunni, fino a quando non si rivela fondata, è destinata ad esser riscritta. Ebbene la nostra storia, anche con errori tinti di Blu, sta per esser riscritta. E non sarà certamente con la legge 482, che ciò succederà. Ma con l’abnegazione di veri italo-albanesi che amano raccontare, come si faceva una volta davanti al camino, ai propri figli o ai nipoti, e la nostra storia verrà completamente ridisegnata e riscritta.Io La invito a scrivere, per tutti coloro che ogni giorno seguono il mio blog, e devo dirLe che sono in molti, a scrivere un articolo, che pubblicherò con una grande enfasi, un articolo in cui da storico e da professore di storia, racconta a tutti noi arbresh la “Sua Vera Storia”.Il mio Blog è a Sua disposizione, ci mancherebbe altro.Voglio ricordarLe che prima che tutto si omogeneizzasse, i nostri bravi preti, almeno quelli della Calabria, pena la scomunica, proibivano ai fedeli arbresh di entrare nelle chiese latine, ed ai preti latini di entrare nelle chiese e nelle case degli arbresh. Se ciò accadeva, c’era un motivo.Nessuna polemica, ma verità, sempre verità e solo verità.E Caro Professore, la verità non è quella propinata fino a ieri, accomodante, remissiva e conciliante.Mi perdoni se in questa risposta ci sarà qualche errore blu o rosso: ma molte volte è il contenuto che conta, anche se fatto di errori linguistici e scritturali.Mi ero dimenticato di comunicarLe che l’Uniatismo è stato coniato dalla Chiesa di Roma Antica, per dimostrare che anche dentro di lei c’erano gli ortodossi, camuffati e sviliti, ma c’erano e............ ci sono ancora.Aspettando il Suo scritto, La saluto con profonda amicizia.

P. Giovanni Capparelli,Prete arbresh, ortodosso, ritornato alla fede dei Padri.

La storia di un popolo martoriato

Estratto dal Sito di Macchia:
BREVE CRONISTORIA DELLA CHIESA (OGGI) UNIATA DEGLI ARBËRESHË
Primate: Trattandosi di una Chiesa con tre giurisdizioni sui iuris, la Chiesa non ha un Primate. Attualmente l'Eparca di Piana degli Albanesi è S.E. Sotir Ferrara che è succeduto a Mons.Ercole Lupinacci, adesso Eparca di Lungro. Protoarchimandrita Abate Ordinario di Grottaferrata è P. Emiliano Fabbricatore.
Cronotassi dei Metropoliti nominati dall'Arciv. di Ocrida: Giacomo, Metropolita di Corfù, (-1543) Pafnunzio, Metropolita di Agrigento, (1553-1566) Timoteo, Metropolita di Agrigento (1566?-?) Acacio Casnesio, Metropolita di Agrigento (?-?)
Alcuni Vescovi ordinanti nominati da Roma: con sede al Collegio Greco di Roma: Germano Kouskonaris (1595?- )(Distruttore dell'ortodossia) Filoteto Zassi (?)
I presidenti del Collegio Corsini ( per le comunità di Calabria) dal 1732 . Gabriele, Arcivescovo titolare di Mitilene.
I Vescovi ordinanti per le comunità di Sicilia dal 1784: Giuseppe Crispi Stassi Cronotassi degli Eparchi di Lungro: Giovanni Mele 1919-1979 Giovanni Stamati 1979-87 Ercole Lupinacci dal 1987.
Cronotassi degli Eparchi di Piana degli Albanesi: Giuseppe Perniciaro 1937-85 Ercole Lupinacci 1985-87 Sotir Ferrara dal 1987
Cronotassi degli Archimandriti e Abati nullius di Grottaferrata: Isidoro Croce (1937-60) Teodoro Minisci (1960-72) Paolo Giannini (1972-92) Marco Petta (1994-2000) Emiliano Fabbricatore (200-)
La Diocesi di Lungro Ha 27 parrocchie (in 20 comuni della provincia di Cosenza più una parrocchia a Cosenza, 2 in provincia di Potenza, 1 a Lecce,1 a Villa Badessa di Rosciano in provincia di Pescara)

La Diocesi di Piana degli Albanesi (ex Piana dei Greci)

Ha 15 parrocchie (in 5 Comuni della Provincia di Palermo -Piana, Contessa Entellina, Palazzo Adriano, Mezzojuso, S.Cristina Gela-più una a Palermo). L'Abbazia di S.Maria di Grottaferrata Fa parte della chiesa uniata arbereshe. <<>> [1] Il Papa Paolo VI la definìrà una “perla orientale incastonata nella tiara pontificia” Cronologia 325 Concilio di Nicea. L'Italia meridionale viene inclusa nel Patriarcato Romano ma la popolazione è a stragrande maggioranza "Italiota", di lingua greca. 8° sec.: L’ Imperatore Bizantino Leone III pone l'Italia Meridionale e l'Illirico sotto la giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli. Nel secolo successivo la Sicilia viene conquistata dagli Arabi e l'Italia meridionale ne è continuamente infestata. Poche diocesi riescono a sopravvivere. 1004 dopo la morte di san Nilo di Rossano, la superstite comunità niliana, guidata dall’igumeno Paolo, da Sperperi, si era spostata a Grottaferrata, nelle terre dei Tuscolani, ove fu costruito un monastero (il monastero di Grottaferrata) la cui chiesa fu consacrata il 17/12/1024 dal papa Giovanni XIX.

11° sec.: I Normanni conquistano le provincie occidentali dell’Impero Romano: grazie ad un patto di ferro (Melfi, 23 agosto 1050) con il bavarese Gerard de Chevronne (papa Nicola II), i Normanni conquistano l’attuale Italia Meridionale e le sue Chiese Ortodosse vengono assoggettate all’autorità del pontefice. Massacri e deportazioni assicurano il totale dominio degli invasori sulla popolazione di Sicilia e Grande Grecia, ridotta a colonia della Provenza e della Normandia, da dove affluiscono subito migliaia di contadini, frati cattolici e “baroni”.
La parte più bella dell’impero Romano – smembrata in Sardegna, Sicilia e Continente – va incontro a secoli di asservimento e miseria sotto gli Angioini, Aragonesi, Spagnoli, ecc.
La pulizia etnica ai danni della ortodossa popolazione dell’Italia Meridionale comporta anche la sistematica distruzione di libri (nessun manoscritto è rimasto in Calabria), icone (nessuna anteriore alla Francocrazia), reliquie dei santi e chiese: di molti monasteri oggi è impossibile sapere persino dove sorgessero con precisione; altrettanto rapidamente, viene fatta scomparire la lingua greca, per impedire i contatti e gli scambi con il resto del mondo ortodosso, e le tradizioni liturgiche ortodosse vengono cancellate.
1274 Ipocrita Concilio di Lione per la riunificazione della Chiesa ortodossa e latina.
1399-1409 Prima immigrazione albanese in Italia meridionale. Lascia scarse tracce di sè. Le immigrazioni che seguiranno interesseranno sia gli Albanesi del Nord, che del Sud.
1448 o 1453.
Circa 4200 Albanesi si installano in zone impervie dell'entroterra palermitano (la metà di questi a Palazzo Adriano, gli altri si porteranno a Mezzojuso e a Contessa Entellina). Erano guidati da Demetrio Reres al servizio del Re Alfonso I° come Governatore di Calabria (dove installa i suoi uomini in otto Comuni dell’attuale provincia di Catanzaro).
Dopo il 1453 arrivano profughi da Costantinopoli, Creta, Peleponneso, Epiro ma vengono inseriti nelle diocesi cattoliche anche se, grazie all’isolamento dei villaggi, riescono a conservare qualche tradizione dei paesi d’origine.
1460 Terza immigrazione a seguito della caduta dell'Albania e poi della morte di Giorgio Kastriota Skandeberg (1468). Fondazione di Piana degli Albanesi. Il figlio dello Skandeberg, Giovanni con la sorella Erina e altri connazionali, fonderà diverse colonie in Puglia, Lucania e Calabria.
1470-1478 Quarta migrazione a seguito della caduta di Krujia nel 1478 sotto il dominio turco . Matrimonio tra Irene Castriota (nipote di Skanderberg) e il principe Pietro Antonio Sanseverino di Bisignano in Calabria . 1482 Gli Albanesi di Palazzo Adriano, con a capo Giorgio Mirispì, primi tra tutti ottengono dai Villaraut - che detengono la zona per conto dell'Abbazia di Fossanova - una sorta di statuto-contratto per l'epoca all'avanguardia noto come i Capitoli .
1513 Dopo quello di Gerace (estinto nel 1497) anche l'ultimo vescovo bizantino, quello di Gallipoli, viene meno. 1525 Papa Clemente VII richiama gli Italo-Albanesi alla loro sottomissione ai vescovi latini.
1534 Quinta migrazione albanese a seguito della conquista turca della fortezza di Corone, città in parte greca e in parte albanese della Morea. Migrazioni minori si avranno anche in seguito (1664-1774).
1543 Muore Giacomo (che ha il titolo di Metropolita di Corfù) primo Arcivescovo per gli Albanesi in Italia (nominato dall'Arcivescovo di Ocrida) che ordina preti (con il pieno appoggio della S. Sede).
1553 Anche se l'Unione del Concilio di Firenze è ormai da tempo fallita l'Arcivescovo di Ocrida continua a ordinare metropoliti per gli Albanesi in Italia (con il titolo di Agrigento).
E' da considerare un frequente legame tra Roma e Ocrida i cui Arcivescovi non raramente si professeranno cattolici (Atanasio ancora nel 1660) .
1564 Dietro i reclami degli Ordinari latini, Papa Pio IV, con il breve "Romanus pontifex" toglie agli italo-albanesi l’esenzione e li sottopone alla giurisdizione degli Ordinari latini.
1573 Il Patriarca di Costantinopoli nomina per i fedeli ancora Ortodossi in Italia un Metropolita (con il titolo di Filadelfia) con sede episcopale a Venezia. La presenza dell'Arcivescovo-Metropolita in Italia durerà fino al 1790. (Inizia il calvario religioso per le comunità Italo-albanesi. Calvario che si conclude con l'annessione forzata al Papa di Roma).
Viene istituita in Calabria la Congregazione dei Greci (italo-albanesi e italo-greci) con la quale si comincia ad affrontare in termini meno latinizzanti il problema della minoranza bizantina in Italia. 1595 Il Papa provvede a nominare un vescovo ordinario per gli Italo-Albanesi, primo vescovo cattolico di rito orientale sotto la diretta autorità del Papa (e non dell'Arcivescovo Greco di Ocrida).
Si tratta – per ironia della sorte - di Germano Kouskonaris, cipriota, che era fuggito da Famagosta e aveva abiurato (tradito) l’ortodossia, con sede nel Collegio Greco di Roma.
Altri vescovi ordinanti avranno ugualmente sede in questo collegio. 1663 Un seminario Italo-albanese viene fondato a Firmo, in Calabria. 17° sec.
Con gli ultimi preti greci ancora presenti a Rossano si estingue il clero greco italiota dell'Italia meridionale.
1715 Un seminario Italo-albanese viene fondato a Palermo. 1732 Un seminario Italo-albanese viene fondato in Calabria a S. Benedetto Ullano, trasferito nel 1794 a S. Demetrio Corone, il cui presidente ha funzioni di vescovo ordinante. La creazione di questi seminari è fonte di un notevole risveglio e porta gli Italo-albanesi a prendere coscienza della propria particolarità etnica, culturale, religiosa dopo le dimenticanze provocate dai tentativi di latinizzazione e di assimilazione (ampiamente riusciti in provincia di Catanzaro). 1784 Anche gli Italo-Albanesi della Sicilia ottengono un episcopus ordinans, residente a Piana dei Greci. 1888 Gli italo-albanesi inviano al Papa una supplica per reclamare l’autonomia ecclesiastica (è da considerare che gli Arcivescovi ordinanti erano comunque in qualche modo dipendenti da quelli latini e rispetto a questi considerati di rango inferiore). 1919 Viene creata l'Eparchia di Lungro in Calabria per le popolazioni dell’Italia peninsulare di rito greco-bizantino, interessa particolarmente la Calabria. 1937 Viene creata l'Eparchia di Piana degli Albanesi per i pochi Comuni della Sicilia (Piana degli Albanesi, Palazzo Adriano, Contessa Entellina, Mezzojuso, S.Cristina Gela.)in cui è ancora praticato il rito bizantino.L'Abbazia di S.Maria di Grottaferrata diventa abbazia nullius. 1940 A Grottaferrata si tiene il 1° Sinodo intereparchiale. 1973 Visita ufficiale di una delegazione della Chiesa Ortodossa di Grecia a Piana degli Albanesi. 2004 L'Abbazia di Grottaferrata compie mille anni. Si tiene (con la benedizione papale) il 2° Sinodo interperchiale. I lavori si concludono con la fedeltà al “Romanus Pontifex”
NOTA [1] dalla rivista “Storia e verità” – n. 1/2003 – pag. 2.