mercoledì 11 dicembre 2013

Dal sito Italo-albanese: http://makj.jimdo.com/

 
LA CHIESA GRECA NEL MERIDIONE
DOPO IL CONCILIO DI TRENTO (1)
 
 
di Spyridon Colucci
Interno della chiesetta ortodossa-greca di “Madonna dei Greci” a Gallicianò (R.C.)
Interno della chiesetta ortodossa-greca di “Madonna dei Greci” a Gallicianò (R.C.)
 


     Una delle preoccupazioni principali di alcuni vescovi della provincia era l’assimilazione o la latinizzazione della comunità a rito greco, che nella loro opinione era legata all’eliminazione dell’eterodossia. Anche se i vescovi tendevano a sminuire l’ortodossia orientale nelle loro diocesi riferendosi a essa con il termine di “rito greco”, esisteva in realtà una struttura ecclesiastica organizzata, un retaggio del periodo bizantino, ancora in sporadico contatto con Costantinopoli. [65]
     Un clero greco era presente in trentasette diocesi del regno, otto delle quali si trovavano in Terra d’Otranto: Alessano, Altamura (che faceva parte della provincia sino al 1663), Brindisi, Lecce, Nardò, Otranto, Taranto e Ugento. La caduta di Otranto nel 1480 e la distruzione dei centri monastici da parte dei turchi non cancellarono la civiltà greca nella regione. La visita pastorale all’arcidiocesi di Otranto del 1607 da parte dell’arcivescovo de Morra faceva riferimento alla presenza di clero greco in tredici comunità, inclusi trentadue chierici a Soleto e dodici a Calimera, per un totale di novantanove ecclesiastici. [66]
     Al loro numero elevato, percepito come un’ulteriore ostacolo ai tentativi dei vescovi di controllare e riformare, si univa la loro relativa povertà, la mancanza d’istruzione e il generale stato di abbandono. L’arcivescovo de Corderos di Otranto, scrivendo al cardinale Santoro nel 1580, espresse l’opinione che tutto il clero greco fosse in un continuo stato di peccato, perché non aveva i libri adatti e non sapeva recitare l’ufficio. Concluse dicendo che “gli abusi e le insolenze dei Greci di questa provincia e non meno la loro grande ignoranza sono tanti e tali e così continuati, che solo qualche spirito angelico lo potria soffrire”.[67] L’arcivescovo Brancaccio di Taranto fu ancora più duro nei riguardi delle comunità albanesi nella sua diocesi, e cercò di imporre il rito latino col pretesto di correggere alcuni abusi ecclesiastici”.[68] In occasione delle sue visite pastorali alle comunità albanesi nel 1577-8, proibì l’usanza del rito greco di somministrare la comunione ai neonati, vietò che i mariti si risposassero se loro mogli venivano sorprese in flagrante adultero e affermò che nessun prete poteva essere ordinato da un vescovo di rito greco senza la previa approvazione dell’arcivescovo o del suo vicario. Inoltre, insistette che fosse adottata la versione latina della cresima e proibì al clero latino e quello greco di celebrare le messe l’uno nelle chiese dell’altro. ”[69]
     Nonostante la tolleranza ufficiale del rito greco e la nomina da parte di papa Clemente VII nel 1595 di un vescovo ordinante per i greci dell’Italia (anche se direttamente soggetto all’autorità papale) in Terra d’Otranto si mirava ad abolire le usanze greche sopravissute in aree a predominanza italiana e a sopprimere gradualmente il rito greco in località miste, sostituendolo con quello latino. Per questa ragione, il clero greco di S. Pietro in Galatina (arcidiocesi di Otranto) dovette presentare una petizione all’arcivescovo de Capua nel 1570 per ottenere il permesso di nominare un nuovo cantore, in seguito alla morte del precedente. A Lecce, che aveva la sua parrocchia greca, un prete greco venne accusato di aver battezzato un bimbo di genitori “latini” secondo il rito greco, ma fu perdonato perché aveva agito in una situazione di emergenza. ”[70] Spesso le vicine popolazioni di rito latino contrastavano duramente la presenza del rito greco – aizzate da chi ? –, trasformando la disputa in un conflitto confessionale. A Soleto nel 1583 la comunità latina scrisse una petizione contro l’arcipresbitero e il clero greco perché si convertissero immediatamente al rito latino. Il paese di Calimera ebbe la fortuna di poter mantenere il suo rito greco più a lungo di molti altri, fino al 1663, quando, cioè, il suo protopapa fu assassinato e l’archivio parrocchiale distrutto completamente da un incendio. [71]
 
Note presenti nel testo
 
[65] V. PERI, Chiesa latina e chiesa greca nell’Italia postridentina (1564-1596), in “Italia sacra”, no. 20, Padova 1973, La Chiesa greca in Italia dal’VIII al XVI secolo, I, pp. 281-2;
[66] TSIRPAULIS, Memorie, cit., pp. 853-7;
[67] Cit. in PERI, Chiesa greca, cit., p. 314;
[68] V. FARELLA, I decreti sinodali dell’arcivescovo Lelio Brancaccio relativi ai greco-albanesi del tarantino, in M. PAONE (a cura di), Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, II, Galatina 1973, p. 665;
[69] Archivio Diocesano di Taranto, Sante Visite, “Visitatio casalium Tarantinae diocesis archiepiscopi Brancacii de anno 1577”, f.475, cit. in ibid., p.673.
[70] Era notte e il bimbo stava morendo, correndo il pericolo di finire nel limbo. ACAL, Giud. crim., “Contra Rvdo Gabriele De Orazio”, 1688, no. 758.
[71] TSIRPAULIS, Memorie, cit., pp. 856, 862. Nel paese di Galatone (diocesi di Nardò) l’eliminazione delle ultime tracce della gerarchia di rito greco all’interno del capitolo fu segnata, materialmente e simbolicamente, dalla edificazione della chiesa del Crocifisso, negli anni 1622-5. M. CAZZATO, Architettura e religiosità popolare: osservazioni e documenti in margine alla ricostruzione della chiesa del Crocifisso di Galatone, in “Sallentum”, VIII (1985), pp.33-5
 

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