domenica 15 luglio 2012

Ho ricevuto dalla mia Carissima Amica Anna Maria Ragno, una interessantissima riflessione sulla situazione Culturale-religiosa delle popolazioni Italo-albanesi intitolata "Il marranismo arbérèshe". Lo pubblico ben volentieri sul mio blog affinchè tutti coloro che "vogliono intendere"....indendano. .


Il marranismo arbérèshe.
Rito o religione?
La minoranza arbérèshe più che una minoranza linguistica,  può essere forse considerata  una minoranza religiosa, che si è stabilita nel Meridione d’Italia, in seguito alla diaspora albanese, causata dall'invasione turca. Al pari della minoranza ebraica, la minoranza arbereshe ha conosciuto la violenza delle conversioni forzate al rito latino e la ferita del marranismo (marrani erano gli Ebrei costretti ad abiurare l’Ebraismo e a convertirsi al Cattolicesimo), ma si riconosce ancora nel suo rito bizantino, come dimostra il caso di Falconara Albanese, ritornata al rito greco nel 1974, dopo circa tre secoli.
Comunemente gli Italo-albanesi vengono considerati una minoranza linguistica di rito greco bizantino, che ha costruito la propria identità etnica attraverso tre strumenti: l’arberìsht, cioè la lingua; l’endogamia etnica e di villaggio, cioè la pratica di sposare i discendenti di Skanderbeg; e il rito greco bizantino, intendendo per rito non una religione vera e propria, ma una prassi celebrativa diversa solo nella forma, ma non nella sostanza dalla religione maggioritaria. In realtà i papades bizantini prendono moglie, danno la comunione con il pane lievitato ( non con l’ostia), e celebrano i sacramenti tutti insieme al momento del battesimo: le differenze con il rito latino non sono solo formali.
Va detto subito che questa è una tesi nuova: nella letteratura sulle minoranze non si parla mai di marranismo riferito agli Arbérèshe, anche se non sono mancati gli episodi di conversione e di latinizzazione forzata, come dimostrano i fatti avvenuti nel 1668 a Spezzano Albanese, dove il principe Spinelli di Tarsia impose il rito latino con l’assassinio dell’arciprete Don Nicola Basta (rinvio per questo al bellissimo articolo “Ulteriori contributi al cambio del rito greco in Spezzano Albanese" di Francesco Marchianò). Non si parla di marranismo perché quella arbereshe non viene considerata una religione, ma un rito, diverso più nella forma che nella sostanza dalla religione dei Latini.
Questa defallance storica è stata possibile grazie al fatto che la Chiesa Cattolica Arbëreshë non ha mai voluto determinare una rottura con Roma. Ha preferito, anzi, assumere e mantenere sempre un atteggiamento di subordinazione rispetto alla Chiesa e al Papato. Questo ha permesso l’ enclavizzazione della minoranza religiosa arbëreshë e la sua stessa sopravvivenza.
 D’altro canto il processo di enclavizzazione della religiosità arbérèshe è stato lungo e difficile, né si può dire pienamente concluso con l’istituzione dell’Eparchia di Lungro (1919) e dell’Eparchia di Piana degli Albanesi (1937). Quello che è certo è che il tracollo rituale di numerose comunità italo-albanesi è stato determinato dalla Bolla “Etsi pastoralis” del 26 maggio 1742 di Benedetto XIV, che fissava la superiorità del rito latino sul rito greco, ribadendo ed ampliando le restrizioni già imposte con la “Perbrevis Instructio” di Papa Clemente VIII (1595),  la quale stabiliva che l’ordinazione dei sacerdoti albanesi e greci dovesse avvenire per mano di un vescovo di rito greco, però cattolico: in pratica le comunità italo-albanesi potevano mantenere parte della loro tradizione, ma non una propria gerarchia. Così facendo l’Istituzione Clementina, riconobbe di fatto la Chiesa cattolica Italo-albanese come sui iurus, in piena comunione con la Chiesa di Roma e il Papa. Questa  regolamentazione,  pur fortemente restrittiva, riconobbe di fatto alla comunità religiosa arbérèshe lo status giurico-religioso di chiesa particolare e ne permise la sopravvivenza: gli Arbérèshe riconoscevano l’intromissione della Chiesa cattolica nell’ordinazione dei propri sacerdoti, senza mettere in crisi il sistema gerarchico e verticistico dei Latini; ma dall’altro canto salvavano la dottrina del pane lievitato, l’iconostasi,  il rituale dell’incoronazione degli sposi, la liturgia della parola in arberìsht, senza farsi imporre l’ostia e  il celibato dei preti. Questioni che non sono di forma, ma di sostanza, e che configurano quella arbérèshe come una religione, non come un semplice rito, diverso da quello latino solo sul piano formale.
Una religione di nicchia.
Il rito greco bizantino non è sopravvissuto semplicemente ai continui e reiterati tentativi di latinizzazione e conversione forzata, ma anche a Riforma e Controriforma (sec. XVI), Concilio di Trento (1545-1563) e Questione romana, Patti Lateranensi e Leggi Razziali, quasi mimetizzandosi all’interno del Meridione d’Italia, e rimanendo sempre una religione di nicchia, formalmente subalterna alla religione maggioritaria, da cui però è riuscita a non farsi omologare totalmente nonostante la forte diversità sul piano dottrinale delle due Chiese, professandosi sempre Cattolici ma di rito ortodosso, e dicendo: Come religione siamo Cristiani, come fede siamo Ortodossi. Né la Chiesa Italo-albanese può essere considerata uniate, perché non ha mai rinnegato la propria origine per passare alla Chiesa Romana. Ma forse è più giusto dire che “de iure” gli Arbëreshë non sono uniati, ma “de facto” lo sono, rimandando il lettore agli Appunti di P. Clementi “Psicopatologia dell’Uniatismo”: La Chiesa cattolica ha preferito impiegare e perfezionare – per il suo compélle intráre – il Metodo Uniata, una tecnica per “disinfettare” il rito bizantino dalla fede ortodossa, per produrre una schiera di zombi (corpi privi dell’anima ortodossa). Cattolici vestiti da ortodossi (http://www.italiaortodossa.it/index.php?Dialogo_e_Confronto%26nbsp%3B:Psicopatologia_dell%92Uniatismo).
Gli Arbérèshe, sono arrivati in Italia, in un momento caratterizzato da un vuoto di potere per le lotte fra Aragonesi ed Angioini, dalla profonda crisi della Chiesa per la Riforma protestante e la Controriforma e dalla repressione del rito greco degli Italo-greci della Calabria e del Salento, dalla espulsione degli Ebrei dal Regno di Napoli (decreto di  Pedro di Toledo, 1542), dalla persecuzione dei Valdesi di Calabria (1561). Arrivati come soldati, in seguito sono diventati  mercenari, esuli, ospiti e contadini, ma sono sempre rimasti ortodossi, cioè custodi del messaggio originario di Gesù Cristo trasmesso dagli Apostoli, senza aggiunte, amputazioni e mutazioni. Come ortodossi hanno punti di vista divergenti riguardo  al primato e all’infallibilità del Papa, alla dottrina del Purgatorio e del Filioque (cioè la processione dello Spirito Santo dal Figlio), ai nuovi dogmi mariani e alla questione del divorzio.
In realtà le differenze sul piano dottrinali sono più che significative: la Chiesa Italo-albanese pratica il battesimo per immersione e la cresima viene conferita nella stessa cerimonia del battesimo; offre l'Eucarestia ai fedeli con pane lievitato e vino e non con l’ostia; non contempla il celibato ecclesiastico per i sacerdoti.
Senza entrare troppo in questioni dottrinali, bisogna menzionare che il titolo di Papa nasce nel 610, quando l'imperatore Foca prese il potere facendo assassinare il suo predecessore. Per tale atto criminale, il vescovo Ciriaco di Costantinopoli lo scomunicò, ma Foca, per ritorsione, proclamò "papa" (ossia capo di tutti i vescovi) il vescovo di Roma Gregorio I,  che rifiutò un simile titolo per fedeltà alla tradizione episcopale della Chiesa. Tuttavia, il vescovo di Roma successivo, cioè Bonifacio III, accettò di avvalersi del titolo di "Papa".  Nel 1870, l’anno della Presa di Roma e della fine  del Potere temporale (nato con la Donazione di Sutri nel 750), Papa Pio IX stabilirà anche il dogma dell’infallibilità del Papa.
Il Purgatorio, nasce nel 593 per merito di Gregorio Magno e diventerà dogma solo nel 1439, con il Concilio di Firenze. L’idea che il potere della chiesa arrivi anche nell’aldilà favorirà la vendita delle indulgenze, che partirà già dal 1190 e porterà, in seguito, alla denuncia di Lutero e alla Riforma protestante.
Anche la celebrazione dell’Eucarestia, che nelle comunità arbérèshe di Rito greco bizantino avviene con il pane e il vino, invece che con l’ostia dei Latini, sembra solo una questione di forma, ma così non è. Il pane lievitato del Rito greco bizantino simbolizza la piena umanità di Cristo. I Latini, invece, credono nella Transustazione e nel  corpo carnale di Cristo materializzato nell’ostia, cioè nel pane non lievitato (o azimo). E’ Innocenzo III a proclamare nel 1215 il dogma della Transustazione, e da quel momento l’Eucarestia, che in seguito diventerà ostia, cesserà di essere simbolo della Comunione e diventerà “vero corpo e sangue” di Gesù. A Monte Sant’Angelo, il paese della Grotta di San Michele, che è stato feudo di Skanderbeg, l’ostia è un dolce tipico, che viene preparato con le mandorle e il miele…
Il Concilio di Trento, che durò con varie interruzioni dal 1545-1563,  ribadisce nella sua XIII sessione la presenza reale di Cristo nell'eucarestia e la dottrina della transustanziazione, affermando le pratiche di culto e di adorazione ad esso collegate, come l'adorazione dell’eucaristica e la festa del Corpus Domini. Nelle sessioni successive riaffermò poi l'importanza dei sacramenti della penitenza (o confessione) e dell'unzione degli infermi, rifiutati da Lutero ma considerati dalla Chiesa cattolica istituiti direttamente da Cristo.
Il celibato dei preti è stato introdotto invece da Gregorio VII nel 1079 ed imposto con i primi due Concili Lateranensi (1123 e 1139). Nel Nuovo Testamento ( prima Epistola a Timoteo, cap.3) si dice l’esatto contrario, “perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?" .
Anche fatti apparentemente estetici, come le lunghe barbe dei papades, in realtà costituiscono un istintivo richiamo all’immagine di Cristo e degli Apostoli. Per quanto riguarda i luoghi di culto, invece, le differenze fra le due Chiese sono date dalla mancanza di statue e di strumenti musicali (le Costituzioni Apostoliche del IV sec. vietano espressamente l’uso di strumenti musicali nella chiesa), considerati una disobbedienza allo spirito dei Padri. Le bellissime icone delle chiese bizantine manifestano la presenza invisibile di Cristo e riflettono l’insegnamento ortodosso della grazia increata (la statua riflette la teoria latina della grazia creata). Nella confessione, il papàs e il penitente sono entrambi di fronte all’icona del Salvatore, mentre i Latini si comunicano nel confessionale a grata. Il papàs è testimone di fronte al Salvatore della confessione di un altro peccatore, mentre il prete è colui che assolve secondo il giuridismo dei Latini.
Le differenze fra Rito greco bizantino e la religione dei Latini, non sono quindi solo apparenti e formali, ma la Chiesa cattolica Italo-albanese non ha mai esasperato la diversità dottrinale: l’ha piuttosto taciuta. Quello che però ha mantenuto sul piano dottrinale, lo ha concesso sul piano gerarchico,  anche se l’Eparchia di Lungro ha aspettato quasi  due anni per avere un successore.
Il marranismo arbérèshe.
Quindi più che di rito si dovrebbe parlare di religione, ma cosa c’entra il  marranismo? I Marrani (o Conversos) sono gli Ebrei convertiti forzatamente al Cristianesimo e che hanno abiurato l’Ebraismo per motivi di sopravvivenza, pur mantenendo vivo nel cuore il loro spirito di Ebrei. Nel XV secolo i figli di Davide vengono espulsi prima dalla Spagna (dove appunto vengono definiti Marrani, dal castigliano porco) e poi dal Portogallo. E’ in questo periodo che nasce la figura dell’Ebreo errante, disprezzato tanto dai Cristiani quanto dai suoi stessi fratelli. Dopo la conquista del Regno di Napoli da parte degli Aragonesi (1504), gli Ebrei sono costretti a scegliere fra l’esilio e marranismo, cioè  la conversione al Cristianesimo. In realtà molti mantennero la propria fede di nascosto.
Quanti Arbérèshe sono stati latinizzati forzatamente e ora vorrebbero tornare alla religione dei padri e dell’eroe Skanderbeg, il difensore della Cristianità? Sappiamo che il Rito greco bizantino oggi viene mantenuto solo nelle Eparchie di Lungro e di Piana degli Albanesi, laddove più forte è stata la resistenza all’omologazione, ma quanti Arbérèshe del Molise, delle Puglie e della Basilicata vorrebbero il ritorno alla religione degli avi? O vorrebbero la propria chiesetta bizantina come la sub-colonia di Chieri? Quanti vorrebbero seguire il caso di Acquaformosa, dove è nata, o forse sarebbe meglio dire rinata, sotto il Patriarcato di Mosca, la Chiesa Ortodossa Arbëreshe? Officia Zoti Giovanni Capparelli, uno dei tre preti ortodossi (Arbëreshë) d’Italia, insieme a P. Athanasio , che officia a Schiavonea di Corigliano e Cosenza, e a Padre  Arsenio Aghiarsenita (Monaco), che officia nelle Chiese parrocchiali Greco- Ortodosse di Brindisi e di Lecce.
Il Rito greco bizantino consente una adesione spirituale vicina al Cristianesimo delle origini e al proprio passato mitico: quello dell’arrivo in Italia in seguito alla Diaspora dall’Albania, conquistata dai Turchi. Come tale gli Arbérèshe non si riconoscono nei riti, nei dogmi e nell’organizzazione gerarchica e verticistica della Chiesa dei Latini. Professano, invece, una religione di nicchia, che conserva la propria impostazione dottrinale, perché sono riusciti a  mimetizzarsi all’interno della Chiesa dei Latini,  subordinandosi volutamente e supinamente ad essa. Quello che è importante è riattualizzare continuamente il proprio passato mitico, attraverso la celebrazione del rito greco, con la messa cantata nella lingua che conoscono solo gli Arbérèshe, quella dei padri e del papàs.
Ma il marranismo, può dare frutti inaspettati, come dimostra i casi già citato di Falconara Albanese e di Acquaformosa, e come dimostra il caso quasi sconosciuto dei marrani di Riesi (Caltanissetta), che hanno mantenuto il culto dell’Ebraismo di nascosto, per secoli, sposandosi fra di loro. Dice Grazia Gualano, rappresentante della piccola comunità ebraica di Sannicandro: “Se con l’Olocausto fossero morti tutti gli Ebrei, noi comunque saremmo sopravvissuti”. E sicuramente  anche i marrani di Riesi e gli Arbëreshë.
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