Dal gruppo di fb: Ortodossi Italiani a Roma
Nicola D'Amico
TRIODION – PREPARAZIONE ALLA QUARESIMA
4. IL GIUDIZIO FINALE
Ancora una attenta riflessione in preparazione alla liturgia domenicale
opportunamente postata alcuni giorni prima perchè possa essere letta
per preparare il nostro animo a ciò che, passo dopo passo, sta per
compiersi.
Domenica di Carnevale
La
domenica successiva è chiamata di “Carnevale”, poiché durante la
settimana successiva è prescritto dalla Chiesa un limitato digiuno,
l’astensione dalle carni. Questa prescrizione è da intendersi alla luce
di ciò che è stato detto a proposito del significato di preparazione. La
Chiesa comincia ora ad “adattarci” al grande sforzo che essa aspetta da
noi tra una settimana. Essa gradualmente ci porta a conoscere lo
sforzo-conoscenza della nostra fragilità, prevedendo la nostra debolezza
spirituale. Alla Vigilia di questo giorno (Sabato di Carnevale), la
Chiesa ci invita ad un’universale commemorazione di quanti si sono
addormentati nella speranza della resurrezione e della vita eterna.
Questo è il grande giorno di preghiera per i suoi membri deceduti. Per
comprendere la connessione tra la Quaresima e la preghiera per tutti i
defunti, bisogna ricordare che la fede Cristiana è la religione
dell’amore. Cristo ha lasciato ai suoi discepoli non una dottrina di
salvezza individuale, ma un nuovo comandamento, “di amarsi l’un
l’altro”, ed aggiunse: “Da questo tutti conosceranno che voi siete miei
discepoli se vi amerete reciprocamente”. L’amore dunque è il fondamento,
la vera vita della Chiesa che, secondo sant’Ignazio di Antiochia, è
“l’unità di fede e d’amore”. Il peccato è sempre assenza di amore e,
perciò, separazione, isolamento, guerra di tutti contro tutti. La nuova
vita dataci da Cristo e trasmessa a noi dalla Chiesa è, in primo luogo,
una vita di riconciliazione, di raccolta nell’unità di quelli che erano
dispersi, di ristabilimento dell’amore interrotto dal peccato.
Ma come possiamo cominciare il ritorno a Dio e la nostra
riconciliazione con Lui se in noi stessi non ritorniamo all’unico nuovo
comandamento dell’amore? La preghiera per i defunti è un’espressione
essenziale della Chiesa in quanto amore. Preghiamo Dio di ricordare
coloro che noi ricordiamo e li ricordiamo poiché li amiamo. Pregando per
loro, li incontriamo in Cristo, il quale è Amore, e, in quanto tale,
vince la morte, che è l’estrema vittoria sulla separazione sulla
mancanza d’amore. In Cristo non c’è differenza tra vivi e morti, poiché
tutti sono vivi in Lui. Egli è la Vita e la Luce per l’uomo. Amando
Cristo, amiamo tutti coloro che sono in Lui; amando quanti sono in Lui,
amiamo Cristo. Questa è la legge della Chiesa e l’ovvia ragione per cui
essa prega per i morti. È proprio il nostro amore in Cristo che li
conserva vivi, poiché li conserva in Cristo e quanto errano coloro che
in Occidente o riducono la preghiera per i morti ad una dottrina
giuridica di “meriti” e “compensazioni” o semplicemente la respingono in
quanto è ritenuta inutile. La grande veglia per i defunti del Sabato di
Carnevale è il modello per tutte le altre commemorazioni dei defunti ed
è ripetuta nel secondo, terzo e quarto sabato di Quaresima.
È di nuovo l’amore che costituisce il tema della Domenica di
Carnevale. L’Evangelo di questo giorno tratta del giudizio finale
(Matteo 25, 31-46). Quando Cristo verrà a giudicarci, quale sarà il
criterio del suo giudizio? La parabola risponde: amore, non semplice
interesse per una giustizia astratta e per un “povero”anonimo, ma un
amore concreto e personale per una persona, per ogni persona umana, che
Dio mi fa incontrare nella mia vita. Questa distinzione è importante,
poiché oggigiorno sempre più i Cristiani tendono ad identificare l’amore
cristiano con interessi politici, economici e sociali; in altre parole
essi scivolano dall’unica persona e dal suo unico destino personale
verso identità anonime quale “classe”, “razza”, ecc... Con ciò non si
può dire che i loro interessi siano sbagliati. È evidente che, nella
sfera della loro vita, nelle loro responsabilità come cittadini, nelle
loro professioni, i Cristiani sono chiamati a darsi cura, impegnando il
meglio delle loro possibilità e della loro intelligenza, per una società
giusta, eguale ed in genere più umana. Tutto ciò, certamente, deriva
dal Cristianesimo e può essere ispirato dall’amore cristiano. Ma il
Cristiano, in quanto tale, è alquanto differente e questa differenza
deve essere compresa e mantenuta se la Chiesa vuol preservare la sua
unica missione e non diventare una semplice “agenzia sociale”, il che
essa non è affatto.
L’amore cristiano è
“l’impossibilità possibile” di vedere Cristo in un altro uomo, chiunque
esso sia, che Dio, nel suo eterno e misterioso disegno, ha deciso
d’introdurre nella mia vita, sia pur soltanto per pochi momenti, non
come occasione per una “buona opera” o per un esercizio di filantropia,
ma come inizio di un’eterna associazione in Dio. Infatti, cos’è
realmente l’amore se non quel misterioso potere che trascende ciò che è
accidentale ed esterno “nell’altro” (la sua figura fisica, il livello
sociale, l’origine etnica, la capacità intellettuale) e raggiungere
l’anima, l’unica “radice” personale di un essere umano, in realtà la
parte di Dio in lui? Se Dio ama ogni uomo, ciò avviene perché egli solo
conosce il tesoro inestimabile ed assolutamente unico, “l’anima” o la
“persona” che egli ha dato ad ogni uomo. L’amore cristiano è dunque la
partecipazione a questa divina conoscenza ed il dono dell’amore divino.
Non c’è un amore “impersonale”, poiché esso è la meravigliosa scoperta
della “persona” nell’“uomo”, di ciò che è personale e unico in ciò che
comune e generale. È la scoperta in ogni uomo di ciò che è “degno di
essere amato” in lui, il che deriva da Dio.
A questo
riguardo l’amore cristiano è alle volte l’opposto dell’“attivismo
sociale”, con cui qualcuno identifica il Cristianesimo attuale. Per un
“attivista sociale” l’oggetto dell’amore non è la “persona”, ma l’uomo,
un’unità astratta di una non meno astratta “umanità”. Ma per il
Cristianesimo l’uomo è degno di essere amato, poiché egli è una persona.
Lì la persona è ridotta ad un uomo, qui l’uomo è visto solo come
persona. L’“attivista sociale” non ha interesse per ciò che è personale e
facilmente lo sacrifica per il “comune interesse”. Il Cristianesimo può
sembrare piuttosto scettico, ed in un certo qual modo lo è, nei
confronti di questa astratta umanità, ma commette un peccato mortale
contro se stesso ogni volta che tralascia il suo interesse ed amore per
la persona. L’attivismo sociale è sempre “futuristico” nel suo
accostarsi; esso agisce sempre in nome della giustizia, dell’ordine,
della felicità futura per essere compiuto. Il Cristianesimo si cura poco
di questa problematica futura, ma pone l’accento su momento attuale,
l’unico momento decisivo per l’amore. Questi due atteggiamenti non si
escludono reciprocamente, ma non debbono essere confusi. I Cristiani,
certamente, hanno delle responsabilità verso “questo mondo” e le debbono
adempiere. Questa è l’area dell’“attivismo sociale”, che riguarda
esclusivamente “questo mondo”. L’amore cristiano, comunque, tende al di
là di “questo mondo”. Esso è un raggio, una manifestazione del Regno di
Dio: esso trascende e supera tutte le limitazioni, tutte le “condizioni”
di questo mondo, poiché la sua motivazione, come pure i suoi obiettivi e
la sua perfezione, è in Dio. E noi sappiamo che anche in questo mondo,
che pure è nel male, le uniche vittorie durature e che trasformano la
realtà sono quelle dell’amore. Ricordare all’uomo questo amore personale
e la vocazione di riempire il mondo peccatore con questo amore, questa è
la missione della Chiesa.
La parabola del giudizio
finale riguarda l’amore cristiano. Non tutti tra noi siamo chiamati a
lavorare per l’“umanità”, tuttavia ognuno di noi ha ricevuto il dono e
la grazia dell’amore di Cristo. Sappiamo che tutti gli uomini, in
definitiva, hanno bisogno di quest’amore personale, il riconoscimento in
loro della loro unica anima nella quale la bellezza di tutta la
creazione è riflessa in un’unica via. Anche noi sappiamo che ci sono
uomini in prigione, in preda alle malattie, ed alla sete ed alla fame,
poiché questo amore personale è stato loro negato. Ed infine sappiamo
che, per quanto stretto e limitato sia il quadro della nostra esistenza,
ognuno di noi è stato reso responsabile da questo vero dono dell’amore
di Cristo. E così saremo giudicati se abbiamo accettato o meno questa
responsabilità, se abbiamo amato o rifiutato di amare. Poiché “quanto
avete fatto per uno dei più piccoli di questi miei fratelli, voi l’avete
fatto per me...”.
da A. Schmemann, Great Lent, St. Vladimir’s Seminary Press 1974;
trad. A. S. in “Messaggero Ortodosso”, Roma 1986 n. 2-3, 13-17.
ALLA LITURGIA
1 Corinti 8, 8-13 – 9, 1-2; Matteo 25, 31-46.
Tropario
Quando verrai sulla terra nella gloria, o Signore, quando tremerà
l’universo ed un fiume di fuoco trascinerà tutti dinanzi al tuo
tribunale, quando si apriranno i libri e saranno rese pubbliche le cose
nascoste; allora, o giustissimo Giudice, liberami dal fuoco
inestinguibile e degnami di sedere alla tua destra.
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